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Web marketing: non è la parola-chiave la molla del successo

Per pubblicizzare un prodotto e venderlo online devono essere messe in atto una miriade di operazioni, tali da ricondurre all’acquisto qualsiasi tipo di cliente potenziale

Nell’ultimo editoriale pubblicato sul Magazine di evoluzionecommerce, era stato affrontato l’argomento relativo ai costi delle campagne di marketing. L’interesse riscontrato è stato davvero significativo, perché molti ci hanno scritto portando le loro testimonianze a supporto delle tesi che abbiamo pubblicato.

Tuttavia, dalle email ricevute appare chiaro che esiste ancora una grande approssimazione nella conoscenza delle dinamiche sulle quali impostare una campagna pubblicitaria online.

Dunque, vale la pena mettere un po’ di ordine, cominciando dai primi passi. E cioè dal fatto che le parole-chiave rappresentano solo una piccola parte delle strategie di marketing necessarie per vendere online.

Vediamo di ragionare insieme su un percorso più completo.

tanta spesa e poco guadagno

Ormai, quando parliamo di parole-chiave non ci riferiamo più soltanto a singoli vocaboli che potrebbero identificare il sunto di un’attività online.

Internet non è più quello di cinque anni fa o, ancor peggio, di dieci anni fa, dove Google individuava i siti che potessero essere congrui con termini del tutto generici.

Cerchiamo di fare un esempio pratico. Prendiamo un’azienda che produce abbigliamento per bambini e seguiamo il percorso più comune che le web agency, meno specializzate nel marketing, indicano a quella azienda, loro cliente, per vendere online.

Da una breve ispezione su Google Trend ovviamente risulta che la parola-chiave “abbigliamento” è quella che riscontra i maggiori volumi di ricerca.

La riflessione più comune, ma completamente errata, è che se c’è tanto pubblico che ricerca una certa tipologia di prodotto, ci sarà sicuramente ampio spazio di vendita per ogni azienda di quello specifico settore, quindi anche per il cliente che produce abbigliamento per bambini.

Purtroppo è un ragionamento che va esattamente all’opposto di ciò che si dovrebbe fare.

Difatti, una parola-chiave con grandi volumi di ricerca è un attributo molto generico, nel quale convergono migliaia di imprese, anche non concorrenti, che si danno battaglia a colpi di clic.

Nel caso dell’abbigliamento, difatti, non troveremo soltanto chi vende abiti, ma anche riviste di settore, modellisti, scuole e tanto altro.

Nella pratica, questo vuol dire attirare sul proprio e-commerce anche quel pubblico che non è assolutamente interessato ad acquistare. Ed ancor più vuol dire pagare clic che non portano vendite.

Anche perché, quel tipo di campagna potrà produrre molti accessi, ma in quel calderone finiranno persone che atterrano su un sito di abbigliamento per bambini, nonostante loro cerchino uno smoking, un Borsalino, una giacca da camera o una divisa militare. È tutto abbigliamento.

Peraltro, è bene tenere presente che tanto più è generalista una ricerca, tanto più costa un singolo clic. Risultato: grande spesa, poco guadagno. Sono tutti clic pagati per vendere zero.

la scelta del prodotto

Dunque le parole-chiave vanno affinate. A che cosa? Al carattere distintivo di ciò che si vuole vendere.

“Abbigliamento per bambini” invece che semplice “abbigliamento”? No, non è ancora sufficiente. Ci sono migliaia di produttori, grossisti e negozi che vendono abbigliamento per bambini. Non cambierebbe molto rispetto alla situazione precedente.

Per superare questo scoglio è necessario individuare uno, due, massimo tre prodotti che possano fare da traino a tutto il resto del catalogo. Si tratta di prodotti ben specifici, spesso non supportati da opportune azioni di marketing concorrenti, per quel tipo di approssimazione di cui abbiamo appena parlato.

Per essere più concreto voglio approfondire il nostro esempio. Se tra i capi di abbigliamento per bambini ho in vendita dei bellissimi, elegantissimi pantaloni lunghi con risvolto, di velluto morbido, indistruttibile e di un colore all’ultima moda, sarebbe bene studiare se vi è mercato per questo genere di capo.

Una volta comprovato che il mercato esiste e quali sono le ricerche per questo tipo di prodotto, vale la pena mettere in evidenza che:

  • il pantalone è adatto per un bambino di età da due a sei anni,
  • il prezzo è congruo per la qualità del prodotto
  • una volta indossato, il piccolo dandy farà un figurone tra i suoi giovanissimi coetanei.

Questi elementi di comunicazione, elaborati in una strategia di marketing, ci porteranno anche a definire con più precisione il pubblico al quale ci si deve rivolgere per pubblicizzare questo prodotto.

In questo caso potrebbero essere le mamme dai 25 ai 35 anni, che abitano in zone dove le stagioni sono piuttosto fredde e i bambini non usano i calzoncini corti.

Bingo! Non solo avrò venduto il capo di abbigliamento in pochi clic, ma avrò acquisito nuovi clienti ai quali, d’ora in poi, potrò vendere tutto il resto del mio catalogo, anche quello più generalista.

Ovviamente, questo tipo di strategie non può essere affidato alla fantasia delle imprese, ma deve essere il frutto di uno studio approfondito, antecedente alla campagna di marketing e, perfino, alla creazione della scheda-prodotto.

l’interazione con il cliente

Un altro errore piuttosto comune è quello di ipotizzare che, a fronte di una campagna pubblicitaria online, il cliente potenziale sia conquistato da uno script, da un’immagine o da un’offerta e corra immediatamente a comprare.

Non è così che avviene. Al contrario, un recente studio dei guru del marketing americani (quelli veri) ci dice che nella media ci vogliono 23 interazioni prima che una persona sia portata all’acquisto.

Senza entrare nello specifico di così tanti passaggi, che forse sono un po’ eccessivi, vediamo di condensare brevemente cosa può succedere quando un’azienda mostra una propria pubblicità di vendita su Google o sui social.

Ecco un breve elenco. Solo otto casi dei 23 citati.

  1. Il cliente fa clic, vede il prodotto, lo mette nel carrello e paga
  2. Il cliente fa clic, vede il prodotto, lo mette nel carrello e non paga
  3. Il cliente fa clic, vede il prodotto, non lo mette nel carrello
  4. il cliente fa clic, legge la scheda-prodotto, aggiunge al carrello e paga
  5. il cliente fa clic, legge la scheda-prodotto, aggiunge al carrello e non paga
  6. il cliente fa clic, legge la scheda-prodotto e non lo aggiunge al carrello
  7. il cliente fa clic e naviga all’interno dell’ecommerce in cerca di altri prodotti
  8. il cliente fa clic ed esce immediatamente dal sito

Caso n. 1

È quello che tutti ci auguriamo. Il cliente cercava proprio quel prodotto, conosceva già il brand, riponeva in lui la sua fiducia, non ha espresso obiezioni sul prezzo, ha la certezza della consegna nei tempi indicati, conosce le garanzie per il suo acquisto.

Caso n. 2

Qualcosa non è andato a buon fine. Il cliente era quello giusto e sicuramente era intenzionato a comprare. Arrivato alla cassa, è stato distolto da qualcosa oppure è stato contrariato da qualcosa.

Potrebbe avere ricevuto una telefonata mentre stava per pagare, oppure la sua carta di credito era scarica, oppure non ha ricevuto le sufficienti assicurazioni sui tempi di consegna o sulla politica dei resi.

Le motivazioni sono infinite, ma il risultato è sempre lo stesso. Non ha pagato.

Caso n. 3

Il cliente ha mostrato interesse per quanto è in vendita, ma per qualsiasi motivo ha individuato che quello non è il prodotto adatto alle sue esigenze. Può essere successo che, letta la scheda, ha compreso di essere interessato ad altro. Oppure non ha trovato congruo il prezzo. Anche in questo caso le motivazioni possono essere state molteplici.

Caso n. 4

Rispetto al caso n.1 la diversità è che, questa volta, il cliente ha voluto approfondire il suo acquisto, prendendo informazioni dalla scheda-prodotto. La sua motivazione all’acquisto è stata supportata dalle spiegazioni di accompagnamento al prodotto. Qualcosa lo ha convinto a comprare. Cercava informazioni, le ha trovate, lo hanno soddisfatto e ha pagato.

Caso n. 5

Come nel caso precedente, esistono alcune differenze sostanziali, rispetto al caso n. 2. Il cliente ha cercato di informarsi, ma poi ci ha ripensato. È un cliente piuttosto vicino all’acquisto e, per questo, come vedremo tra poco non va abbandonato.

Caso n. 6

Normalmente si tratta di un cliente che è atterrato sull’e-commerce soltanto per acquisire informazioni. A volte solo per curiosità. Dimostra di volersi informare. Potrebbe essere un concorrente oppure una persona interessata al prezzo. In ogni caso non considera quel prodotto adatto alle sue esigenze.

Caso n. 7

È il classico caso di chi non ha compreso bene il senso del messaggio pubblicitario che lo ha portato a fare clic. Atterra sull’e-commerce, resta inibito dalla pagina in cui si trova e, di conseguenza, va alla ricerca di ciò che gli serve. Per la maggior parte dei casi sono persone indecise, non animate sufficientemente dalla voglia di acquistare.

Probabilmente, prima di atterrare su quel e-commerce, ne ha già visitati molti altri.

Caso n. 8

Il marketing non ha colpito nel segno. Il cliente è convinto di trovare qualcosa di completamente diverso da ciò che gli viene proposto. Non vuole perdere tempo ad approfondire. Se ne va e basta. Spesso è un cliente che era animato dalla necessità di un acquisto, ma ha capito immediatamente di essere capitato nel posto sbagliato.

Cosa fare in ciascuno di questi casi? È possibile tradurre atteggiamenti negativi in nuove opportunità di vendita? Certamente sì. Anzi è doveroso che il marketing sia impostato per non fermarsi al primo impatto.

le conseguenti azioni di marketing

Per ciascuno degli otto casi appena elencati, esistono specifiche azioni di marketing che hanno il solo scopo di portare il cliente ad acquistare.

Nel Caso n. 1 diventa piuttosto semplice allungare la vita commerciale di quel cliente. Ha già comprato da quel e-commerce, ha già concesso la sua fiducia, ha già aperto il suo portafoglio. Se l’acquisto non lo ha deluso, è più disposto di altri a seguire il venditore sulla ripetitività dello stesso acquisto, oppure su altri prodotti del catalogo.

Va soltanto sollecitato con altre proposte, offerte, novità. Generalmente queste operazioni possono essere gratuite, grazie all’invio di newsletter che, tuttavia, devono essere personalizzate.

Lo stesso tipo di operatività è consigliabile anche per il Caso n. 4. Si tratta sempre di clienti paganti.

Su questo punto e su tutti quelli che seguiranno, devo aprire una parentesi. Quando un e-commerce funziona e si impostano strategie di marketing durevoli, è consigliabile che le aziende si dotino di un CRM.

Tutte le azioni che vedremo devono essere automatizzate, secondo schemi precostituiti. Il marketing va impostato all’inizio di una campagna. Poi deve viaggiare per conto suo e con le opportune operazioni di monitoraggio.

E veniamo al Caso n. 2. Un carrello abbandonato è un carrello ad un solo passo dalla cassa. Il cliente che lo ha lasciato nel “limbo”, potrebbe essersene dimenticato oppure potrebbe non subire più quella spinta emotiva che lo stava portando ad acquistare. Bisogna ricreargliela.

È un cliente che va riacciuffato, dapprima con una semplice azione di memoria, ma se questo non dà frutti, allora bisogna pensare a qualcosa di diverso, come un piccolo gadget, una promozione, un buono sconto. Le possibilità sono molteplici.

Per quanto riguarda il Caso n. 3, vale la pena ipotizzare che il cliente non abbia apprezzato la descrizione del prodotto. Oppure il prezzo. In questi casi è buon uso affiancare al marketing online un tipo di azione offline. Il vecchio, caro telefono può svolgere una funzione ottimale.

In un modo o nell’altro, il cliente ha già instaurato una relazione con il venditore. Mostrare un interessamento nei suoi confronti viene spesso apprezzato. A volte è semplicemente necessario un chiarimento, per dissolvere i dubbi che lo hanno tenuto lontano dalla cassa.

La stessa azione di re-marketing offline vale per i Casi 5 e 6.

I Casi 7 e 8 sono quelli che vedono il cliente potenziale ancora molto distante da spendere il suo denaro per l’e-commerce, su cui è stato convogliato dalla pubblicità.

Tuttavia si tratta di clienti che, bene o male, hanno già visto il brand del venditore e ne hanno preso conoscenza. Si tratta anche di clienti che, più o meno, si sono mostrati interessati a un certo tipo di prodotto. Sono clienti da seguire con azioni di retargeting.

Vanno inseguiti ovunque essi si trovino quando navigano sul web. Sono clienti la cui visita all’e-commerce è stata pagata, quando hanno fatto clic su una pubblicità. Dunque è bene non disinteressarsene.

Tutte queste azioni vanno impostate preventivamente ad un’azione pubblicitaria. Ogni cliente, che abbia acquistato o meno, va sempre ripreso e ricondotto verso l’acquisto.

A volte è necessario configurare per lui delle landing, a volte basta solo inseguirli sui social, a volte è sufficiente una telefonata o una email. C’è molto di più ovviamente. Ma il concetto è sempre lo stesso. Ed è quello che il web marketing offre una miriade di possibilità perché un e-commerce venda con pieno successo.

Ed è davvero un peccato che la maggior parte della volte le imprese si fermino all’uso delle parole-chiave che, come è possibile comprendere, è solo una fase iniziale di un’operatività ben più completa, articolata e strategica.

"Quanti tuoi clienti comprano online?"

Questa la domanda a cui molte aziende devono dare risposta.

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