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Vendere online: dalla carta stampata agli e-commerce

Così le vendite sono il frutto di un metodo di comunicazione che si è evoluto negli anni per adattarsi alle peculiarità dei nuovi media

Siamo a pochi giorni dal Natale e l’editoriale che sto scrivendo oggi vuole essere una sorta di regalo, un “pensierino della sera” per invitare i nostri lettori ad alcune riflessioni che, spero davvero, possano essere utili per l’anno che verrà.

Il nostro Magazine è focalizzato sulle vendite online, ma per arrivare al mondo degli e-commerce l’umanità è passata attraverso percorsi di comunicazione che, seppure innovativi, non hanno mai sostituito totalmente i media nati prima di loro. Li hanno sempre affiancati.

Anche un e-commerce nasce per comunicare, benché la maggior parte pensi che si tratti di un semplice negozio in cui riempire un carrello e pagare con una carta di credito.

Non è così. Tutti i negozi, online o offline, comunicano anche se quasi tutti i negozianti stanno al banco solo per vendere.

Vetrine, colori, illuminazione, eventi sono lì per parlare alla gente. Un prodotto esposto che non sappia comunicare è un prodotto che si vende male. Per la strada, nelle aziende e negli e-commerce.

Nel settore della moda, ad esempio, i manichini sono stati inventati per comunicare alla gente l’effetto che un certo capo di abbigliamento farebbe su di loro. È come vedersi allo specchio con quel capo già indossato.

Il mestiere di un vetrinista è il mestiere di un comunicatore, di chi trascina la gente dentro il negozio. Su internet tutto questo diventa molto più difficile.

La maggior parte degli e-commerce danno la sensazione di una corsa a volere vendere presto e più degli altri. Ed è per questo che sono molti gli e-commerce che non vendono, perché comunicano male o non comunicano affatto.

Tutta la storia delle vendite è fondata sulla comunicazione e sulla sua evoluzione.

Nel medioevo c’era chi strillava la bontà della propria merce esposta sui banchetti dei mercati.

Poi, per fare un balzo in avanti, è arrivata la carta stampata con le sue pubblicità, le prime immagini, i tagliandi premio, i volantini porta a porta.

Non serviva più alzare i toni della voce, servivano frasi convincenti, immagini emozionanti, lunghi articoli che spiegassero il prodotto, interviste a venditori e acquirenti.

La radio è stata il media successivo. La sua forza penetrativa nelle case della gente è stata la vera innovazione.

Non era più il potenziale acquirente a dovere uscire di casa per comprare il giornale, ma era una voce, una musica, una risata che entrava direttamente negli appartamenti, senza essere stata richiesta.

La capacità penetrativa della radio e l’immediatezza del messaggio ha sconvolto la comunicazione. Per informare bastava uno spot.

Ne è testimonianza che la radio è stato lo strumento con cui il 7 maggio 1945 la popolazione italiana è stata informata della fine della Seconda Guerra Mondiale. Ore 18,15 Corrado Mantoni annunciava: “La guerra è finita. Ripeto: la guerra è finita“.

Un flash comunicativo che ancora oggi fa venire i brividi.

Comunicare in radio, dunque, voleva dire entrare a gamba tesa nelle case della gente. Per vendere bisognava scioccare, essere rapidi e convincenti.

Un giornale poteva restare aperto su un tavolo anche una settimana. La comunicazione radiofonica si apriva e si chiudeva all’istante.

Tuttavia, sia nelle bancarelle, sia con la carta stampata, sia con la radio si è continuato a vendere senza che un mezzo fosse preponderante rispetto al precedente. Si comunicava e si vendeva in modo diverso. Tutto qui.

In Italia le trasmissioni televisive iniziano nel 1953. Al principio non c’è tanta gente ad avere la televisione in casa. È ingombrante ed è costosa. Le valvole si fulminano spesso, quindi costa anche in termini di manutenzione.

Tuttavia nascono programmi che, proprio grazie alla comunicazione cartacea e a quella radiofonica (anche il passa-parola è stato importante), sono seguiti in massa dalla gente.

Nei bar ci si raduna il martedì per vedere Rosso e Nero, presentato da Corrado, e di giovedì c’è Lascia o Raddoppia, condotto da Mike Bongiorno.

Inizialmente la pubblicità fa una certa fatica ad inserirsi nel nuovo media. I programmi aprono con il Telegiornale delle 20,30 (allora esisteva una sola rete) e finiscono prima delle 23. C’è poco tempo per una comunicazione ripetitiva e, quindi, efficace.

Dunque, si pensa che per adattare la comunicazione anche alla nuova “scatola”, la televisione appunto, bisogna creare uno show quotidiano come, d’altronde, avevano già fatto gli americani.

Nasce, così, Carosello, un programma che va in onda subito dopo il telegiornale dove la pubblicità prende la forma di mini-show. Dove ciò che attrae non è il prodotto, ma una comedy di tre minuti interpretata da personaggi famosi, o divenuti famosi propri attraverso Carosello stesso.

Non si vende un dentifricio, ma il sorriso di Virna Lisi. Non si vende uno smacchiatore, ma l’avventura del “pulcino nero”. E così via.

Dunque, anche Carosello è la dimostrazione di come la comunicazione abbia dovuto adattarsi al nuovo media, studiando formule nuove che non si sostituiscono alle precedenti, ma che le affiancano.

La televisione non ha ucciso la radio, così come la radio non ha ucciso la carta stampata, così come la carta stampata non ha ucciso i mercatini.

Adesso, la nuova frontiera si chiama internet.

Ancora una volta le cose si complicano, perché nessuna delle precedenti forme di comunicazione è valida per vendere i prodotti sul web.

Anzi, dirò meglio: comunicare per fare pubblicità ai prodotti inseriti nel proprio e-commerce, sia nel b2b che nel b2c, è una sintesi evolutiva di tutte le precedenti forme di comunicazione che ho appena elencato.

Per vendere online bisogna strillare. Ovviamente non nel senso di alzare la voce, ma nel senso di riuscire ad emergere in un mare magnum di altri e-commerce che, se vogliamo, possiamo considerare le bancarelle dell’era moderna.

Per vendere online bisogna scrivere dei testi e pubblicare immagini, come avviene nella carta stampata.

Per vendere online bisogna creare una comunicazione convincente e rapida. Come avviene nel settore radiofonico. L’e-commerce non entra semplicemente come fa la radio dentro le mura domestiche. L’e-commerce entra nello smartphone, entra durante le tue navigazioni, ti raggiunge quando meno te l’aspetti.

Se vuoi ascoltare la radio, devi compiere un’azione, quella di accenderla. Se hai un telefonino ti arriva un bip. Può essere un messaggio di lavoro, può essere la persona del cuore e, invece, è qualcuno che ti vuole vendere qualcosa.

Infine, per vendere online bisogna che i messaggi siano belli, affascinanti, spesso scioccanti senza tuttavia turbare la sensibilità delle persone. Meglio di come fa la televisione, che molto spesso si propone in modo sguaiato e violento.

Dunque, comunicare online non è per niente facile e, mi scuso per la digressione, ma mi viene da ridere quando sento e vedo proposte che ingannano (non trovo termine più adatto) invitando gli imprenditori ad acquistare piattaforme web per il fai-da-te. Nessuno nasce genio della comunicazione.

Ecco, l’excursus su cui ho voluto concentrare l’editoriale di oggi vuole portare ad una sola riflessione: vendere vuol dire sapere comunicare. Sul web la comunicazione non è un arte, ma uno studio approfondito di tecniche in continua evoluzione.

Servono le competenze di professionisti capaci.

Comunicare costa, quindi se non si comprende quanto sia professionale sapere comunicare, è meglio non gettare palate di denaro al vento nella convinzione di potere vendere.

"Quanti tuoi clienti comprano online?"

Questa la domanda a cui molte aziende devono dare risposta.

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