Essere visibili su Internet non serve se tale visibilità non è colta dal singolo cliente come una opportunità d’acquisto veramente utile per se stesso
Sul nostro Magazine abbiamo più volte scritto che Internet è in continua evoluzione (non mi stancherò mai di ricordarlo) e che quello che era opportuno fare ieri per vendere online, oggi non serve già più. Anzi, a volte è persino deleterio. Difatti, si evolvono gli strumenti utilizzati da chi compra, il suo approccio al web, il suo grado di consapevolezza in un acquisto, il fiume di informazioni e di proposte che inonda la mente di un cliente potenziale. Così, non tenendo conto di queste trasformazioni nel mondo ecommerce, si deprimono gradualmente i tassi di conversione, cioè il rapporto percentuale tra le visite ad un sito di vendita e il loro ribaltamento alla conclusione di un acquisto. Vediamo insieme perché questo avviene e come utilizzare un marketing, profilato sul cliente in target, per invertire questa tendenza.
Per entrare più nello specifico di cosa significhi “migliorare” un tasso di conversione, vale la pena fare qualche ipotesi tra costi e ricavi.
Diciamo che, per le statistiche di cui Internet dispone, un tasso di conversione medio si aggira tra il 1% e il 3%.
Per essere più concreti, proviamo a pensare ad una campagna di marketing in cui portare un cliente sul nostro ecommerce ci costa 0,18 euro. Il costo viene indicato da Google o dai social.
Voglio dire che 18 centesimi è il valore che io pago per quel clic sponsorizzato con cui un cliente viene indirizzato sul sito di vendita.
È del tutto comprensibile che non tutti coloro che atterrano su un ecommerce, poi, proseguano fino alla cassa e siano disposti a comprare.
Un tasso di conversione al 1% significa che ogni 1.000 persone indirizzate su un ecommerce, mediante un clic a pagamento (quindi nel nostro caso ogni 180 euro spesi), io effettuo 10 vendite. Una vendita ogni 18 euro investiti.
I conti per un tasso di conversione al 3% sono presto fatti: tre vendite ogni 18 euro investiti, quindi una vendita ogni 6 euro spesi in pubblicità su Google o sui social.
Come si vede, dunque, sapere valorizzare il tasso di conversione sposta di molto i risultati di fatturato che si possono ottenere da un sito di vendita.
Ovviamente parliamo solo di fatturato. Per quanto riguarda i guadagni non posso esprimermi perché ogni prodotto gode di sue specifiche marginalità.
Ecco perché ritengo importante spiegare, nelle righe che seguono, di come sia possibile e opportuno modificare al rialzo il tasso di conversione, anche alla luce delle mutazioni strategiche di comunicazione che vedremo tra poco.
Costruire strutturalmente un ecommerce non è per niente difficile. Ci sono piattaforme open source, abbordabili da qualsiasi smanettone, comprese quelle facilmente maneggiabili con il fai-da-te.
La maggior parte delle web agency utilizza addirittura template su cui costruire il design. Si tratta di fogli pre-compilati su una struttura standard da riempire con testi e immagini.
L’utilizzo di uno stesso template per la costruzione di più ecommerce significa realizzare siti uno uguale all’altro, senza alcuna differenziazione. E questo è quello che puntualmente accade con le web agency.
Purtroppo, il mondo ecommerce è troppo complesso perché oggi la creazione di ecommerce in serie possa rivelarsi in qualche modo utile.
Una volta, solo due o tre anni fa, il template consentiva di limitare e industrializzare i tempi di realizzazione e, di conseguenza, i costi per pubblicare un catalogo di prodotti online.
Oggi il template è utile solo alle web agency, che lucrano sul loro impegno ridotto a scapito dei risultati che, in questo modo, sono destinati a lasciarsi attendere all’infinito.
Ed ancor più questo accade, se l’ecommerce viene costruito dalle web agency stesse su piattaforme fai-da-te. In questo modo il tasso di conversione rimane rasente lo zero. Vediamo perché succede proprio questo.
Partiamo dalla massa di prodotti e di servizi che ormai sono in vendita online. Si può dire che non esiste categoria merceologica che non sia rappresentata da ecommerce specializzati.
Ci sono siti che vendono dai vermi alle formiche e quelli che vendono dai ticket per Gardaland alle orazioni funebri. C’è davvero di tutto.
Per vendere in un contesto di questo genere non basta più essere presenti con un proprio ecommerce e fare un po’ di marketing per essere visibili.
In un mercato così intasato la visibilità è solo una delle componenti per vendere.
La visibilità è un elemento statico del marketing. Ma vi è un nuovo elemento dinamico che si chiama “centricità” del cliente in target. Un ecommerce che non ne tenga conto è per sempre un ecommerce perdente.
Lanciare qualche campagna di marketing qua e là, alla ricerca di visibilità, è quanto si faceva fino a poco tempo fa. Ma adesso è tutto cambiato.
È cambiato perché, per ogni tipologia commerciale esiste una concorrenza molto vasta e a volte molto ricca, capace di imporsi a suon di sponsorizzate. Chi più paga, più è visibile.
È cambiato perché i clienti hanno la possibilità di accedere a molte più informazioni su ciò che vogliono acquistare. Infatti, tutti possono essere visibili.
Ciò significa che, se da un lato le persone sono sempre più consapevoli dell’atto che stanno per compiere davanti alla cassa, dall’altro sono sempre più confusi sulle proprie scelte.
Ci sono molti altri elementi che influenzano un acquisto, ma le due condizioni mentali appena descritte dovrebbero bastare per comprendere quanto un ecommerce debba essere confezionato in modo sartoriale sui clienti a cui si vuole vendere.
Ed anche sulla notorietà e sull’affidabilità di chi vende. Il prodotto, invece, non ha più tanto peso sulla comunicazione. Incredibile ma vero.
Ci si può avvicinare ad un così alto livello di perfezione con un template generico o con un sito fai-da-te? Certo che no.
Visibilità e centricità del cliente sono due componenti strategiche del marketing, necessarie per vendere su Internet.
La prima per affermare una presenza sul mercato. La seconda perché quella presenza sia ritenuta utile per se stesso da chi compra.
Difatti, in contrasto a come operano le web agency, oggi servono ecommerce specialist per i quali l’obiettivo non è la costruzione dell’ecommerce e il marketing per renderlo visibile, ma convertire la visibilità in vendite.
Il miglioramento del tasso di conversione è una delle strade più importanti per raggiungere un risultato di questo tipo. È su questo che è necessario lavorare nel presente e nel tempo in affiancamento a chi fa impresa.
Come si vede, aumentare le vendite sul proprio ecommerce attraverso il miglioramento del tasso di conversione non è un gioco di prestigio, ma un lavoro scientifico.
Ci sono alcune regole basilari per aumentare il tasso di conversione. Prima fra tutte è lo studio del cliente in target, la sua identificazione e le sue motivazioni all’acquisto.
Purtroppo, molto spesso, si vedono analisi di mercato che sono piuttosto carenti nel raccogliere ed elaborare informazioni di questo tipo.
Per questo motivo i risultati che se ne traggono, ammesso che un’indagine di questo genere venga realmente condotta, sono raffazzonati e superficiali.
Per fare un esempio concreto, mettiamo di vendere libri che raccontano di storie medievali.
Si tratta di una categoria editoriale molto specifica che, certamente, raccoglie propri ammiratori e appassionati.
Identificare il tipo di pubblico che può acquistare libri di questo genere non è affatto difficile, in quanto si tratta di argomenti specifici molto bene delineati.
Tuttavia, anche in questo campo così ristretto dell’editoria, esistono clienti vicini e clienti lontani con i quali ci si deve confrontare. Cosa intendo dire?
Per esempio, abbiamo lettori che già hanno espresso la loro predisposizione per questo genere di letteratura. Probabilmente perché hanno già acquistato libri di questo genere. Spesso si tratta di studiosi o di semplici appassionati.
In ogni caso Internet è in grado di identificarli molto bene e di consegnarli al marketing di un ecommerce. Gli strumenti ci sono e non sono banali, ma basta saperli usare.
Per questo motivo, se viene pubblicato un libro riferentesi a storie e a leggende del Medioevo, non è difficile approntare campagne pubblicitarie che colpiscano proprio un pubblico così altamente selezionato.
Si tratta di clienti già mentalmente vicini ad un acquisto di questo genere. Puntare su di loro significa godere di alte possibilità di vendita.
Ma ci fermiamo qui con il marketing? Certo che no!
Ci sono altri clienti un po’ più lontani che non vanno lasciati in pasto alla concorrenza. Si tratta di quelli che hanno già espresso amore per il Medioevo, anche se non lo hanno manifestato acquistando libri di questo settore.
Potrebbero averlo fatto prenotando viaggi nei borghi storici della nostra Penisola, oppure acquistando oggetti d’arte di quel periodo, oppure visitando mostre ambientate all’Anno Mille.
Sono potenziali clienti che non hanno pensato di acquistare libri, ma che hanno soddisfatto il loro interesse per il Medioevo in altro modo, rivolgendosi quindi ad una concorrenza indiretta: prodotti di tipo diverso per soddisfare la medesima esigenza.
E ci fermiamo qui per vendere i nostri libri medievali? Ancora una volta la risposta è no!
Esistono clienti ancora più distanti dall’acquistare un libro di nicchia come quelli che vogliamo vendere.
Si tratta di persone che non hanno mai manifestato affezione per questo periodo storico, ma sono alla ricerca di leggende o di storie per nulla banali. Magari di quelle legate ai cavalieri del passato.
Oppure sono clienti che sono attratti da uno specifico autore, che spesso ha pubblicato saggi storici sul periodo tra il quinto e il quindicesimo secolo.
Sono anch’essi clienti potenziali, sebbene non abbiano mai espresso legami emozionali verso il Medioevo. E magari sono molti di più che non i clienti fortemente in target. Quelli più vicini.
Come si vede dagli esempi appena esposti, molto probabilmente esiste una massa molto interessante di persone che possiamo raggiungere con operazioni di marketing per condurle ad un acquisto.
Persone commercialmente diverse tra loro e alle quali, quindi, dobbiamo offrire argomentazioni d’acquisto differenti.
Meglio lo sappiamo fare e più alzeremo il livello del tasso di conversione. Ma come? Vediamolo nel paragrafo che segue.
Quando parlo di ecommerce specialist, in contrapposizione alle abituali web agency, intendo dire che non c’è spazio per la banalità e la superficialità nel mondo delle vendite online.
Bisogna avere ben presente che su Internet ogni cliente ha un costo, che è quello dei clic pagati a Google o ai social mediante le campagne di marketing.
È dunque fondamentale che quel clic produca quante più vendite possibili, convertendo una visita in un acquisto.
Passare da un tasso di conversione dal 1% al 3% e più, è un’operazione che cambia sostanzialmente il successo di un ecommerce.
Per ottenere questo e risultati ancora maggiori (mai porsi limiti) non si mettono in atto operazioni casuali, ma elaborate scientificamente e con la massima attenzione ai costi ed ai ricavi.
Ma anche alla tipologia di clienti diversi tra loro, pur in relazione ad uno stesso prodotto.
Riprendiamo, dunque, l’esempio dei libri medievali, dividendo i clienti potenziali in tre diverse categorie:
È così che li abbiamo definiti poco fa. Persone che si trovano ad una distanza diversa dalla cassa dove noi li vogliamo fare transitare.
I clienti vicini non hanno problemi a comprare un libro che soddisfi la loro passione. Convincerli ad un acquisto è piuttosto semplice e, proprio per questo, non dobbiamo frapporre ostacoli al loro cammino verso una conversione.
Nei loro confronti il marketing deve essere diretto, esplicito, sostanziale, breve, determinato, immediato.
Il concetto è: “Sappiamo che tu vuoi questo, eccolo!“. Punto e basta. Se poi l’editore non è confortato da un brand famoso, ecco anche tutte le rassicurazioni del caso. Con un prezzo congruo l’offerta ha ottime probabilità di conversione.
Con i clienti prossimi, invece, bisogna lavorare con un’accortezza diversa. Bisogna fargli capire perché un libro è una scelta migliore di una spada, di uno scudo, di uno stendardo, di una moneta dell’epoca. E molto altro.
In questo caso, per quel cliente il libro diventa un acquisto diverso da come abitualmente è abituato a respirare l’aria delle sue collezioni, dei suoi hobby e della sua affabilità con quel periodo storico.
Il marketing, dunque, non può essere lo stesso di quello utilizzato per i clienti vicini. Non convertirebbe.
Il “cliente prossimo” capisce già di cosa stiamo parlando e, quindi, si tratta solo di fargli comprendere che il libro potrebbe essere una buona soluzione ai suoi desiderata. Una soluzione alla quale prima non aveva pensato.
E, infine, arriviamo ai clienti lontani. Sono la grande massa e, per questo motivo, bisogna fare molta attenzione a non sprecare denaro in campagne di marketing che producano clic, ma che non convertono.
È la dolorosa storia infinita di chi spende soldi nella pubblicità online, riceve tante visite ma con il risultato di una vagonata di cuoricini e di “mi piace”. Vendite zero.
Anche per questa tipologia di clienti è necessario un marketing ad personam, che li coinvolga in modo differente dalle due precedenti categorie.
Se ti approcci a loro come fai con i clienti vicini ed anche quelli prossimi, ricevi come unica risposta un bel “chi se ne frega”!
I clienti lontani non hanno mai manifestato il loro interesse per quel determinato periodo storico. Non lo hanno mai fatto. Tuttavia possono ugualmente essere in target con la vendita di un libro ambientato nel Medioevo.
Possiamo identificarli in coloro che sono alla ricerca di testi per completare la loro raccolta di libri. Oppure in coloro che amano leggere molto e contemporaneamente abitano (o sono nati) nelle zone geografiche in cui il nostro libro è ambientato.
Oppure ancora in quelle signore che avrebbero sognato di nascere come damigelle di corte. Oppure nei proprietari e appassionati di castelli. E così via.
Se esiste un mercato in cui ci si possa infilare con la vendita di quel libro e se i volumi di questo mercato (intesi come numero di persone) lo giustificano, c’è necessità di elaborare strategie diversificate da persona a persona, a secondo della sua distanza mentale da un possibile acquisto.
Questo modo di lavorare è uno dei tanti che sono necessari per attrarre clienti, motivandoli ad un acquisto. Il che comporta un sensibile aumento, in termini percentuali, del tasso di conversione.
Con ciò che ho scritto fin qui non ho voluto esaurire tutti i metodi necessari per aumentare il tasso di conversione di un ecommerce.
Esistono molte altre strategie e forse ne parleremo in successivi articoli del Magazine di evoluzionecommerce.
Ho voluto invece mettere in risalto quanto sia necessario lavorare sul miglioramento del tasso di conversione, affinché un ecommerce possa esprimere al meglio le proprie potenzialità di vendita.
Ho anche cercato di sottolineare quanto sia pericoloso, oggi, affrontare un progetto di vendite online senza una dovuta preparazione e senza un affiancamento di persone in continuo aggiornamento con le mutevoli logiche di comunicazione.
Il passaggio strategico dal concetto di visibilità a quello di centricità del cliente è una delle mutazioni più recenti, alle quali lo stesso Google si è uniformato. Basti dare un’occhiata alla trasformazione delle sue nuove pagine di ricerca.
E non ho parlato solo del marketing, ma anche della costruzione del sito di vendita che deve rispondere alle caratteristiche che il marketing stesso vuole evidenziare con una precisione laser.
Un marketing ad personam, come descritto, prevede di essere di supporto anche ad un ecommerce ad personam, studiato nei minimi particolari per rendersi utile al cliente che si vuole conquistare.
Medesima attenzione va applicata ai prodotti che, all’interno di un catalogo, devono essere individuati come quelli più idonei ai risultati di conversione.
Come detto, costruire un ecommerce è molto semplice sul piano tecnico. Farlo funzionare con successo di vendite, invece, richiede uno studio capillare in evoluzione e personale specializzato il cui focus sia quello di fare vendere. Nessun altro segreto.
Chiedi maggiori informazioni. O risvolti operativi.
Questa la domanda a cui molte aziende devono dare risposta.
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