Molte web agency consigliano agli imprenditori di destinare a spaglio i propri budget sui vari media pubblicitari, ma la logica “un po’ qui e un po’ là” non può funzionare
Nella nostra esperienza quotidiana spesso incontriamo imprenditori che si lamentano perché le web agency propongono investimenti di marketing su Facebook o su Instagram da cui, nel settore e-commerce, non ottengono concreti effetti di vendita. Soldi spesi e come ritorno solo tanti cuoricini.
Nella sensibilità comune i social stanno sostituendo la televisione dove, prima e non adesso, le persone erano solite impiegare gran parte del loro tempo libero. Per questo, anche la pubblicità televisiva, oggi, sta gradualmente destinando parte dei propri budget verso il social media marketing.
Ma siamo veramente sicuri che investire in questo settore sia la scelta migliore per vendere online? Ragioniamone insieme nell’articolo che segue.
non è la massa che porta frutti
Pochi mesi fa, in un suo articolo, il quotidiano La Repubblica rendeva noto che gli italiani, mediamente, trascorrono meno di tre ore al giorno davanti alla televisione. Una permanenza ormai ampiamente superata dallo schermo del computer (più di quattro ore al giorno) e dello smartphone (più di tre ore e cinquanta).
È vero. Il vecchio tubo catodico, con tutte le sue successive evoluzioni, oggi ha lasciato il campo a Internet e a tutti quegli strumenti che si usano normalmente per navigare.
Dunque, anche la pubblicità si sta adeguando ad occupare i nuovi spazi laddove confluiscono le masse. È stato sempre così e, secondo i meno attenti, anche Internet non sfuggirebbe a questa regola.
E invece no.
In realtà, il web è un ambiente che consente di essere meno approssimativi e generalisti nella comunicazione. Anzi, per chi investe nel marketing per vendere prodotti e servizi online, questa peculiarità è un obbligo su cui fondare il successo dei propri fatturati.
Vediamo di essere più chiari con un esempio pratico.
Proviamo a pensare ad un cartellone pubblicitario ai bordi di una strada. Tanto più si tratta di una via trafficata, tanto più salgono i costi per l’esposizione pubblicitaria. È una logica impostata sul numero di persone che vi transitano davanti. Si punta sulla massa e non sullo specifico interesse che il singolo nutre verso il messaggio pubblicitario.
Sotto quel cartello passa un pubblico indifferenziato.
Sinceramente non conosco nessuno che possa dirsi entusiasta di vendite e ordini ricevuti grazie ad un cartellone su strada. Forse qualche ristorante o elettrauto o centro massaggi di zona che sia riuscito ad accalappiare qualche cliente per caso.
Il motivo di questa scarsa efficacia è piuttosto semplice.
Per la maggior parte della volte un cartellone su strada viene visto da un pubblico per nulla interessato a ciò che gli viene proposto. Mentre gli passa davanti è immerso in tutt’altri pensieri, compreso quello di non andare a sbattere con la sua auto. Almeno si spera.
Se volessero pubblicizzare un loro e-commerce, gli inserzionisti che investono sui cartelloni di quel tipo dovrebbero fare un conto molto semplice: quanti clienti quella pubblicità gli procura e, sulla base di una semplice divisione, quanto è costato acquisire ogni cliente. Costo della pubblicità diviso il numero dei clienti.
Di conseguenza, il calcolo successivo sarà: quanto un cliente ha fruttato in rapporto al suo costo di acquisizione. Nel caso di un cartellone su strada la differenza è sempre in negativo.
Ecco perché la pubblicità stradale, quella che conta, generalmente non viene utilizzata per vendere a una singola persona, ma per mantenere il prestigio di un brand già noto ai più.
Ebbene, se si è d’accordo sul considerare scarsi i risultati di vendita, prodotti da un cartellone stradale, che peraltro non si fondano su opinioni ma su dati statistici piuttosto precisi, sinceramente non si comprende perché la maggior parte delle web agency spinga gli imprenditori, loro clienti, a inseguire sui social una massa indifferenziata di acquirenti potenziali.
È un modo inconsistente di “sparare” in un mucchio di persone che si trovano lì per fare tutt’altro. Certamente non con l’intenzione di procedere ad un acquisto. Ed è del tutto sconsigliabile. Non rende.
Al contrario di quanto avviene sulla strada, dove non si può selezionare l’automobilista che la percorre e quindi si deve puntare su una massa informe di passaggio, su Internet è possibile creare un contatto con clienti che siano realmente propensi ad acquistare ciò che viene pubblicizzato.
E siccome anche sul web ogni cliente ha un suo costo di acquisizione (è il clic), tanto vale puntare su clienti specifici che non su una massa mentalmente lontana dal volere comprare qualcosa online.
gli effetti negativi del primo contatto
Ecco perché il social media marketing, orientato a sviluppare interazioni mediante i social, serve a tutt’altro che a creare un primo contatto per poi tradurlo in una prima vendita.
Anzi, se male utilizzato, si tratta di una forma di pubblicità che può produrre effetti negativi. Per spiegare questo concetto vale la pena di fare un altro esempio.
Pensiamo di essere davanti al nostro televisore. Stiamo seguendo un film appassionante, che ci coinvolge e ci trascina. Oppure stiamo seguendo un Gran Prix di Formula 1, in cui la Ferrari sta per effettuare l’ultimo sorpasso, all’ultimo giro, prima di conquistare una vittoria anelata per tutta la gara.
La nostra attenzione è spinta ai massimi livelli. Ma, improvvisamente, irrompe sul video Giorgio Mastrota che ci urla quanto siano comode le sue poltrone con le rotelle oppure quanto sia funzionale l’attrezzo-ginnico-tuttofare per tenersi in forma.
Senza scadere in volgarità, se potessimo gli diremmo: spostati!
Certo, la ripetitività di una televendita (più volte al giorno per 365 giorni) prima o poi porta i suoi frutti. È il martellamento che funziona. Tuttavia si tratta di investimenti insostenibili per chi vuole vendere mediante un semplice e-commerce.
Ebbene, anche una pubblicità indiscriminata sui social produce lo stesso effetto negativo di un Mastrota che interrompe all’improvviso ciò che vorremmo continuare a godere indisturbati. Nel momento i cui ci presentiamo per la prima volta ad un potenziale cliente, non dobbiamo e non possiamo farlo mentre lui è interessato a tutt’altro.
Forse sta chattando, forse sta scambiando immagini, forse sta scrivendo di sé, forse è alla ricerca di un nuovo amore. E molto altro che non ha niente a che fare con ciò che gli vogliamo vendere tramite un’azione di marketing che lo distolga da ciò in cui si trova impegnato.
È una logica che non ha nessun fondamento. Gli investimenti gettati a caso sui social per creare un primo contatto con un potenziale cliente sono soldi persi.
Dunque, il social media marketing è una bufala che non funziona? Certo che no. Diciamo che non è consigliabile per la ricerca di nuovi clienti. Cioè per un primo contatto tra loro e l’e-commerce venditore.
Di questo abbiamo già parlato in altri articoli del Magazine di evoluzionecommerce. Tuttavia vale ripetere alcuni punti fondamentali. Su Internet esistono media adatti a cogliere l’attenzione di persone più o meno prossime ad un acquisto. Vale a dire:
la richiesta consapevole
Qui sta la grande differenza per la scelta di strategie di vendita che siano orientate, o meno, al social media marketing.
Nel primo caso parliamo principalmente di Google, di YouTube e di tutti i principali compara-prezzi.
Quando un potenziale cliente si affaccia su questi media, lo fa perché effettua una ricerca. Ha necessità di comprare qualcosa, oppure vuole solo informarsi.
La sua richiesta avviene mediante parole-chiave o frasi a coda lunga che indicano uno specifico interesse verso un prodotto o un servizio. Diciamo che è consapevole di ciò che gli serve o di una esigenza da soddisfare.
Dunque, se un e-commerce intercetta l’azione consapevole del cliente e gli propone ciò che per lui è utile, potrà immediatamente instaurare una relazione positiva per trasformare questo primo contatto in una vendita.
È un contatto che può avvenire mediante una email, una telefonata, una landing, se non addirittura una vendita.
Il tasso di conversione delle visite all’e-commerce in vendite reali potrà essere soddisfacente, perché il marketing ha iniziato a dialogare soltanto con persone realmente interessate a ciò che gli viene proposto.
l’esigenza latente
Nel secondo caso, invece, parliamo principalmente di Facebook e Instagram. Ci sono altri social, ma anche per loro il discorso non cambia.
Ecco, al contrario di quanto avviene su Google, le persone che navigano sui social non stanno esprimendo nessuna ricerca in particolare.
Stanno facendo altro, come l’automobilista che transita vicino a un cartellone pubblicitario. Cercare di catturare la loro attenzione in una situazione in cui manifestano la volontà di essere nulla-facenti diventa piuttosto arduo.
Ancor più se sei qualcuno che non conoscono e tenti di vendergli qualcosa.
Per questo motivo il social media marketing non è mai utile, salvo casi estremi, per stabilire un primo contatto tra e-commerce e cliente. Ed ecco perché, come ho scritto all’inizio di questo articolo, molti imprenditori si lamentano delle web agency che seminano marketing a spaglio senza una precisa strategia di azione.
Investire sui social si deve, ma soltanto a seguito di contatti precedenti già intrattenuti con il cliente. Lo si intercetta sulla base di un rapporto già instaurato in precedenza, online oppure sul mercato tradizionale.
Lo si intercetta per mantenere viva una relazione che riconduca alla vendita di un oggetto o di un servizio verso cui quel cliente ha già mostrato il suo interesse.
Risvegliandolo nelle sue supposte esigenze.
I messaggi pubblicitari veicolati con azioni di marketing attraverso i social saranno così interpretati dal cliente come un riguardo nei suoi confronti. Una relazione esclusiva e personalizzata atta a fidelizzarlo.
Questa la domanda a cui molte aziende devono dare risposta.
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