C’è il pericolo di farsi abbagliare dalle mode, perché è bene scegliere solo gli strumenti di marketing più adatti ad ogni singola realtà commerciale
Per social commerce si intende la vendita di prodotti e servizi online direttamente sulle piattaforme di intrattenimento, tra cui la più nota è Facebook.
Questo genere di attività ha preso piede in Cina, dove le transazioni tramite i social (i più famosi sono WeChat, Douyin e Kuaishou) hanno raggiunto un valore di 351 miliardi di dollari. Anche negli USA questo mercato è in forte espansione. Lo scorso anno ha già prodotto un fatturato pari a 36 miliardi.
In Italia il social commerce è sbarcato non molto tempo fa, ma già dimostra una sua efficacia. Si pensi che nel nostro Paese ci sono 39 milioni di persone che abitualmente frequentano i social con il loro smartphone.
Tuttavia questa tipologia di vendite online non è adatta a qualsiasi impresa, specie se si tratta di PMI. Vediamo a chi conviene e a chi no.
Il social commerce funziona così: il potenziale cliente viene intercettato all’interno di una community, grande o piccola che sia, e gli viene data la possibilità di acquistare con un click senza dovere essere rimbalzato verso un e-commerce.
Se vogliamo dirla meglio, le imprese che sono proprietarie di un proprio e-commerce hanno la possibilità di collegare il proprio catalogo, o parte di esso, sulla propria pagina Facebook o su una foto di Instagram, attivando un ulteriore e alternativo canale di vendita online.
In questo articolo parlerò principalmente di Facebook e Instagram per non dovere citare ogni volta tutte le piattaforme social disponibili.
Sostanzialmente Facebook può essere considerata la nuova televisione della nostra epoca. Come detto, milioni di persone vi si collegano ogni giorno e ogni ora per condividere esperienze, per parlare di sé, per trovarsi virtualmente in una sorta di bar con amici vecchi e nuovi.
vantaggi e svantaggi
La maggior parte delle persone, oggi, quando ha qualche secondo di tempo libero prende in mano il proprio cellulare e comincia a navigare. Si confronta con altri “chiacchieroni” su opinioni, immagini, gag, notizie reali. Aggiunge cuoricini e “mi piace”.
E, come per tutte le televisioni, anche qui il valore commerciale di ciò che viene veicolato aumenta in modo esponenziale con la crescita del numero di utenti.
Anche Facebook, dunque, è diventato uno strumento per fare pubblicità, per valorizzare un brand, per vendere un prodotto o un servizio. Esattamente come avviene in televisione.
E con lui anche Instagram, dedicato a un pubblico più giovane. Una volta si trattava di una piattaforma per condividere delle immagini. Oggi, puoi cliccare su quell’immagine ed acquistare immediatamente il prodotto a cui si riferisce o altri prodotti correlati.
Diciamo che il vantaggio del social commerce è quello di rendere più fluida e immediata una esperienza di acquisto.
Lo svantaggio è invece quello di doversi necessariamente pubblicizzare su piattaforme che intercettano il potenziale cliente mentre lui è dedito a tutt’altre attività, che psicologicamente sono distanti da una ipotesi di acquisto.
Quindi il social commerce è indicato preferibilmente per quelle aziende che già hanno individuato nei social lo strumento di marketing più adatto a loro. Ma su questo punto, davvero essenziale, tornerò tra breve per essere più esplicito.
In realtà, come vedremo nelle prossime righe, spesso investire su una strategia social per vendere online potrebbe non essere una saggia idea e un’inutile perdita di energie finanziarie.
Oggi si parla molto di social commerce, perché è la novità emergente del momento e, quindi, viene proposto da molte web agency come la panacea a tutti i mali di un marketing spesso improduttivo, in quanto inadatto al mercato di riferimento.
chiara ferragni e piripicchio
Uno degli esempi che viene proposto per avvalorare questa tesi così strampalata è quello di Chiara Ferragni. Se lei pubblica una foto e diventa milionaria, lo puoi fare anche tu nel tuo piccolo.
Invece non è così che funziona.
I social, per loro stessa definizione, sono costituiti da diverse comunità di persone che condividono gli stessi interessi, le stesse necessità e le stesse emozioni.
Va da sé che tanto più è grande questa community e tanto più attivamente viene frequentata dai suoi fans, tanto più è in grado di influenzare i comportamenti umani, fra cui anche quello di un acquisto.
Chiara Ferragni è una influencer che ha saputo costruire intorno a sé una vasta popolarità. Per questo motivo i suoi fans sono disponibili a imitarla in come lei agisce, per come si esprime e per quegli oggetti che lei stessa afferma di comprare.
Lo stesso non si può dire che accada all’azienda Piripicchio di Piripicchio e C. (nome del tutto inventato) che sulla sua pagina Facebook riceve una visita al mese, magari da parte di qualche cugino pietoso.
Davvero non è la stessa cosa. Nessuno è desideroso di conoscere le tendenze del signor Piripicchio e tanto meno di imitarle.
Dunque, i social si integrano bene con un’attività di vendita online soltanto in due particolari occasioni:
Prima di entrare brevemente nel dettaglio di queste due opportunità è bene ribadire che un brand affermato è facilmente credibile sui social, al contrario di chi è invece un illustre sconosciuto.
Vedi, appunto, l’esempio di Chiara Ferragni e della pur dignitosissimaPiripicchio di Piripicchio e C.
100.000 dollari per comprare
gas intestinali in barattolo
Una nota influencer americana, Stephanie Matto, ha incassato 100.000 dollari in tre settimane, vendendo sui social i gas del proprio intestino. Il giro di parole sembra chiaro!
Poi è finita in ospedale per essersi ingolfata di alimenti per producono quel tipo di reazione corporea che lei puntigliosamente comprimeva in un barattolo.
Ma, senza andare troppo lontano, anche l’attrice hollywoodiana Gwyneth Paltrow aveva incassato fior di dollari vendendo online candele al profumo della propria vagina.
La fantasia non manca, ma questo non vuol dire che su Facebook o su Instagram tutti possano vendere di tutto.
Se Nike, per fare un esempio, propone un nuovo tipo di scarpa sportiva, è molto facile che i suoi clienti abituali la acquistino. I social, dal canto loro, amplificheranno il valore di quel prodotto con le opinioni positive, espresse da chi indossa quel tipo di calzature.
Nike non ha bisogno di ulteriori riprove sociali. Nike è Nike e le caratteristiche di ciò che vende sono note in tutto il mondo.
Lo stesso tipo di considerazione va fatto anche per quanto riguarda il budget.
Una grande azienda può permettersi di differenziare le risorse dedicate al marketing, spalmandole in modo efficace sui diversi media. Dalla radio alla televisione, dai giornali ai cartelloni stradali, da Google ai social compresi.
Altre aziende, invece, si vedono costrette a selezionare le proprie scelte pubblicitarie a causa di budget più contenuti, indirizzando il marketing su un solo media, che dovrà essere quello che sarà per loro più produttivo in termini di vendite.
Su questo genere di scelta, ovviamente e come già ho scritto più volte, deve intervenire una diagnosi preventiva del mercato di riferimento, della concorrenza e delle buyer persona, che indicherà gli strumenti più adatti al conseguimento di un risultato.
Il social commerce, dunque, è una integrazione delle nuove tecnologie a favore di una attività di vendita online, ma non sempre è necessario e, a volte, è persino sconsigliabile soprattutto in fase di start-up.
È assolutamente fuori luogo pensare che su Internet si possa vendere grazie a un semplice collegamento del catalogo con una propria pagina Facebook o su qualsiasi altro social.
Per vendere bisogna farsi trovare e, per questo, serve il marketing. Tanto più è ridotto il budget riservato alla pubblicità, tanto più deve essere laser e chirurgica la comunicazione.
Questo vuol dire sapere scegliere attentamente i media su cui veicolarsi, senza lasciarsi abbagliare dalle mode o da paradisi commerciali del tutto inesistenti. Nulla avviene per caso.
Questa la domanda a cui molte aziende devono dare risposta.
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