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Quanto costa Google e quanto è davvero potente per le aziende

Così, oggi, il nuovo algoritmo del più grande motore di ricerca al mondo consente alle imprese di ridurre il budget, pur ottenendo rientri economici superiori

Nel 2021 in Italia 44,3 milioni di persone hanno navigato su Internet. Tra queste 35,4 milioni hanno consultato almeno una volta Google per ottenere informazioni su aziende e prodotti presenti online. Nel solo mese di ottobre 2022 (fonte Semrush) 53.584.459 volte sono state effettuate ricerche organiche, mentre sui canali Google a pagamento, per lo stesso periodo, i clic sono stati oltre 49,4 milioni. Sono numeri da capogiro, molto più potenti di qualsiasi altro media, televisione compresa. Difatti, il programma Tv di maggiore ascolto è stato quello relativo ai Mondiali di calcio del 1990, dove i telespettatori hanno superato i 28 milioni. Conscio della sua impareggiabile potenza, Google ha messo in atto nuovi sistemi a favore di imprenditori e aziende, che consentono un risparmio sugli investimenti e un ritorno economico maggiore. Vediamo di cosa si tratta e come sfruttarli.

L’intelligenza artificiale

Nel febbraio di quest’anno Google ha lanciato un nuovo algoritmo sperimentale che, dopo un periodo di pochi mesi, nel luglio 2022 è diventato ufficialmente e completamente operativo.

Normalmente il motivo per cui in passato, ogni tre anni circa, Google ha modificato i suoi sistemi di dialogo con i siti presenti in rete è stato del tutto diverso da quello di quest’anno.

Difatti, Google ha sempre premiato quei siti che hanno saputo aggiornarsi ai suoi sistemi, per garantire le prime posizioni nelle sue pagine di ricerca (SERP) soltanto a coloro che sono in grado di seguirlo nell’evoluzione delle sue logiche di rilevazione.

In questo modo Google, fino ad ora, ha selezionato prevalentemente siti d’informazione e di vendita che gli consentissero di essere autorevole presso chi lo utilizza per le sue ricerche online.

L’aggiornamento dei siti, secondo Google, e la loro rinnovata capacità di adeguarsi ai suoi algoritmi sono una garanzia della stima con cui artigiani, imprese, associazioni e liberi professionisti si approcciano al mondo online.

A professionalità corrisponde serietà.

Tuttavia qualcosa è cambiato. La forza di Google ha fatto gola a molti, così come i costi (molto meno rilevanti rispetto ad altri importanti media) per le campagne di marketing.

È successo così che una miriade di soggetti hanno utilizzato i canali pubblicitari di Google (Rete di Ricerca e Rete Display) per rendersi visibili su Internet, per valorizzare il proprio brand e per vendere con i propri e-commerce.

A questo punto la corsa alle prime posizioni sulle SERP si è trasformata in una sorta di miraggio, in quanto quella collocazione, tanto ambita, è ora occupata prevalentemente (in testa e in coda) dagli annunci pubblicitari.

Bisognava dare una svolta e Google lo ha capito, anche perché non sempre gli annunci a pagamento erano, e sono, congrui con le parole-chiave mediante le quali vengono proposti.

Per essere più chiari, succede che un arredatore appaia nelle ricerche di uno studio medico o che uno studio dentistico venga proposto nell’ambito di una ricerca per viaggiare all’estero.

Dunque, si è reso necessario fare un po’ di chiarezza, sfoltendo tutto ciò che può caratterizzare problematiche e incomprensioni nelle ricerche, favorendo una corretta simbiosi tra ricerca e risultato.

In questo modo, sebbene il nuovo algoritmo di Google complichi ulteriormente l’impegno da dedicare all’evoluzione dello strumento di ricerca (di chi se ne deve occupare ne parliamo tra poco), chi si espone online con serietà e professionalità gode del vantaggio di non disperdere i propri investimenti e di raggiungere risultati più certi.

(Anche sulla totalità dei vantaggi della nuova soluzione di Google dedicherò qualche cenno a breve).

Ed ecco che, per modificare un sistema di valutazione dei siti rispetto ad algoritmi già di per se stessi molto evoluti, Google ha dovuto fare ricorso ad una intelligenza artificiale che, per sua natura, è decisamente sofisticata.

Adeguarsi alle nuove logiche di Google significa, per imprese e liberi professionisti, avere raggiunto la quasi totale perfezione della comunicazione, sia verso il motore di ricerca, sia verso la propria clientela, quella potenziale e quella già acquisita.

Il discorso vale in ambito B2B che B2C.

Come cambia la comunicazione

Quando parliamo di comunicare, almeno per quanto riguarda l’editoriale che stai leggendo, dobbiamo distinguere tra:

  • comunicazione verso Google;
  • comunicazione verso la clientela.

Prendiamo in esame il primo punto, che è quello che ha subìto da luglio il più grande stravolgimento.

Google possiede diversi canali di ricerca. Ne elenchiamo soltanto alcuni:

  • Ads;
  • Shopping;
  • Discover;
  • Display;
  • Maps;
  • Blogger;
  • YouTube;
  • Gmail.

Ognuno di questi canali può essere utilizzato per valorizzare il proprio brand, per acquisire nuovi clienti, per vendere prodotti o servizi. In una parola: per essere visibili.

Ognuno di questi canali ha sempre ragionato con proprie logiche, ognuna differente dalle altre, cosicché ogni azione di marketing ha sempre dovuto basarsi su strategie comunicative e di attacco al mercato, differenti a seconda di ciò che si riteneva più opportuno scegliere.

Ovviamente, per ogni canale era necessario avviare un’azione pubblicitaria, con conseguente aggravio di costi, sia per i clic ottenuti, sia per i professionisti del web marketing di cui ogni azienda ha bisogno.

Parlo di professionisti veri e non delle web agency che si propongono, in modo quasi goliardico, sottraendo risorse e speranze ad imprenditori inconsapevoli.

Pertanto, il modo di comunicare a Google la propria presenza su Internet variava a seconda delle strategie con cui le imprese si indirizzavano (e la maggior parte si indirizza ancora) sui diversi canali disponibili.

Ebbene, da quest’anno Google ha deciso di operare una svolta epocale nei suoi sistemi di rilevazione, consentendo che tutti i suoi canali potessero essere condensati globalmente in un’unica campagna di marketing.

Una sola per sfruttare appieno le potenzialità di tutto il sistema di ricerca.

Per ottenere questo strabiliante risultato, che può essere considerato la strategia più completa per restituire valori di risposta affidabili a chi effettua una ricerca online, Google impone alle aziende di fornirgli il maggior numero di informazioni possibili (tra poco vedremo quali) che la sua intelligenza artificiale possa elaborare.

Il nuovo sistema di Google, che analizza e condensa tutti questi dati, risponde al nome di Performance Max, abbreviato in PMax.

Cosa devono fare le aziende

Allo stato attuale PMax non sostituisce in totum le vecchie campagne di marketing, basate prevalentemente sullo studio ed utilizzo delle parole-chiave o delle frasi a coda lunga.

PMax non azzera neppure il valore dello strumento SEO, tanto diffuso nel bla-bla-bla ma poco praticato con effetti concreti.

Parole-chiave e SEO continuano ad avere un certo peso nell’impostazione delle campagne di marketing, anche se ridotto rispetto all’utilizzo più ampio di azioni pubblicitarie, che si avvalgono di PMax.

Come detto, cambia la comunicazione dei siti verso Google. Cioè cambiano i dati che il motore di ricerca deve ricevere per premiare con successo gli investimenti sul marketing.

Cambia la massa di dati che bisogna inviare, ma anche e soprattutto la qualità di ciò che Google vuole ricevere.

In particolare le aziende devono programmare una strategia di attacco al mercato, basata sulla completezza delle informazioni a loro disposizione, tratte da un’analisi approfondita del proprio mercato.

Per essere ancora più precisi, Google vuole confrontarsi con alcuni input che, tra gli altri, sono:

  1. gli obiettivi di una campagna;
  2. i segmenti di pubblico a cui ci si vuole rivolgere;
  3. gli orari in cui la potenziale clientela è solita operare sul web;
  4. la capacità di spesa dei singoli segmenti e il loro stato sociale;
  5. la tipologia di strumenti utilizzati per navigare;
  6. la localizzazione del marketing;
  7. la creatività e la tipologia dei contenuti;
  8. i valori di conversione attesi.

A questi elementi vanno aggiunti tutti gli approfondimenti sul mercato di riferimento, sulla differenziazione dalla concorrenza presente online, sulla tipologia di messaggi da inoltrare e molto altro.

È chiaro che, se dobbiamo parlare ad una intelligenza artificiale, tanti più dati le forniamo, tanto più sarà preciso e utile il risultato della sua elaborazione. Fino ad arrivare a prevedere perfino il fatturato che potremo raggiungere e i relativi costi per ottenere quanto ipotizzato.

È comprensibile che un’azienda non possa mettere in atto da sola un meccanismo di questo genere e che, per questo, debba essere affiancata da chi è in grado di interpretare un rapporto corretto con il motore di ricerca.

Finalmente Google premia la professionalità. Internet non è più quel giochino di qualche anno fa, in cui ci si divertiva a costruire un e-commerce in casa, la sera, quando in Tv non c’era niente di interessante da vedere.

Secondo noi non è mai stato possibile affidarsi al fai-da-te (ed ancor meno lo è adesso) oppure a siti costruiti su template, ormai del tutto impreparati ad una trasformazione come quella che stiamo descrivendo.

Chi considera Internet come uno strumento per migliorare le performance della propria attività non può più rinunciare alla competenza e alla completa conoscenza delle logiche, che governano ogni azione del mondo online.

Non rendersi conto di questa esigenza diventa molto pericoloso, perché il rischio è quello di insistere con metodologie di lavoro distanti anni luce dai comportamenti necessari per trarre nuovi utili dal web.

Con il conseguente risultato di spendere denaro con scarsi, se non nulli, ritorni economici.

La nuova forza del motore

Dunque, PMax è il serbatoio che va riempito di carburante per fare funzionare appieno il motore di ricerca. Google, ovviamente.

Tante più informazioni gli diamo e tanto maggiore sarà la sua potenza per produrre vantaggi superiori, rispetto alle campagne tradizionali, che ancora per un certo periodo possono essere accettate, anche se non sono più convenienti.

I vantaggi possono essere così riassunti:

  1. un più corretto funzionamento della learning machine di Google, che affina così la selezione dei clic a favore delle imprese o di chi utilizza il web marketing per ottenere visibilità;
  2. miglioramento delle interazioni tra clientela e azienda, perché una corretta profilazione riduce gli errori sui contenuti da inoltrare e, di conseguenza, crea affidabilità;
  3. previsioni molto realistiche sui risultati, in quanto ogni campagna di marketing si affida agli automatismi di Google e del suo algoritmo, minimizzando l’intervento umano;
  4. maggiore leggerezza e rapidità nella gestione delle campagne (una per tutte);
  5. migliore ottimizzazione dei risultati, in quanto il monitoraggio giornaliero dei risultati complessivi consente una maggiore agilità negli opportuni aggiustamenti, sia in tema di budget che di contenuti;
  6. maggiori e più precisi dati analitici a disposizione.

Tutto questo si riassume con un consistente miglioramento dei ritorni sull’investimento (ROI) e con una riduzione dei costi sulla base di previsioni molto veritiere (congruità del budget).

Le limitazioni di Performance Max

Da quanto abbiamo scritto fin qui, non sembra che ci sia nulla da obiettare sull’utilizzo di PMax per le prossime campagne di marketing.

Si direbbe che l’unico ostacolo al suo utilizzo sia la necessità, da parte di chi fa pubblicità online, di essere affiancato da persone serie. Non sempre se ne trovano e non sempre le imprese hanno risorse da dedicare agli esterni.

Tuttavia, c’è da osservare che un costo fisso per una collaborazione diventa quasi risibile man mano che il suo lavoro produce fatturati. La difficoltà, quindi, sta nella scelta.

Dando per scontato che in Italia ci sono realtà davvero competenti nel settore del web marketing, è bene dire che la vera limitazione per l’utilizzo di PMax risiede nella capacità di artigiani, aziende e liberi professionisti di accedere a tutti i dati di cui la learning machine di Google ha bisogno.

I dati che vengono inviati al motore di ricerca devono essere completi e precisi. Google non si confronta con la loro congruità, ma li riceve e li elabora per come gli vengono forniti.

Se i dati non sono sufficienti o sono errati (compresi quelli relativi ai contenuti, quali: testi, immagini, video), oppure non sono di qualità il motore di ricerca non se ne fa carico. E così il marketing non funziona.

D’altronde, chiunque operi sul web per migliorare i vantaggi economici della propria attività deve entrare nell’ordine di idee che quello di Internet è un mondo pieno di risorse strategiche che è bene conoscere e utilizzare.

Ogni campagna di marketing può essere orientata su obiettivi molto precisi ma, affinché questi siano congrui con le potenzialità commerciali di un prodotto, un servizio o un’intera azienda, è necessario uno studio preventivo fondato su elementi oggettivi (dati) e, direi, quasi scientifici.

Se non si rientra in quest’ordine di idee oppure, più semplicemente, se non se ne ha la possibilità, il nuovo algoritmo di Google potrebbe trasformarsi da amico in nemico, restituendo performance inadeguate alle attese.

Nella realtà PMax occupa gran parte del presente e, in tempi brevi, diverrà l’unico futuro. Quindi, o ci si adegua al più presto, oppure si resta fuori dalle enormi potenzialità che offre il marketing online.

"Quanti tuoi clienti comprano online?"

Questa la domanda a cui molte aziende devono dare risposta.

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