La ricerca di clienti potenziali per il proprio e-commerce è un’attività altamente specializzata, complessa e perfino rischiosa per le casse delle imprese. Ecco alcuni esempi
In questi giorni, su varie testate giornalistiche circola un comunicato stampa, sponsorizzato da una web agency di Torino. Pro-domo-propria si dispensano insegnamenti su come realizzare un e-commerce “di successo”. Si parla delle solite cose: la lista dei prodotti, la chiarezza delle esposizioni, belle fotografie, il design, la privacy, la SEO, l’attività di lead generation.
Il tutto presentato come se fosse un gioco da ragazzi fare milioni di euro online. Invece la realtà non è questa. L’e-commerce si è evoluto e alcune di queste attività sono diventate altamente specializzate. Non tenerne conto significa, spesso, gettare molto denaro al vento. Per questo, nell’articolo che segue ne analizziamo una fondamentale, quella di “generare traffico”, che è la più pericolosa per le tasche di chi vuole vendere su Internet.
dieci frasi per non vendere
Per approfondire meglio quanto le azioni di lead generation possano essere inutilmente dispendiose, ho fatto un esperimento. Mentre scrivo, mi sto collegando in tempo reale alle SERP di Google (pagine contenenti i risultati di ricerca) e sto cliccando sui primi dieci annunci sponsorizzati che trovo, navigando a casaccio.
Condensando, gli annunci mi riportano le seguenti frasi (ne riporto una decina):
Non trovando di meglio (perché è difficile trovare di meglio) faccio clic e atterro su siti e-commerce che nella loro home-page replicano i medesimi concetti: siamo i migliori, siamo i più bravi, siamo altamente qualificati, eccetera.
Tutte espressioni da cui si vorrebbe ottenere la conversione di una visita in una vendita, ma che in realtà ottengono come unico risultato una visita pagata a Google e zero denaro.
Dove sta l’errore? Sta nella spontaneità di una comunicazione azienda-centrica, che inorgoglisce chi vende, ma che non è per nulla rilevante o accattivante per chi compra. Quindi sono testi che non aiutano a vendere.
Partiamo da un presupposto: quando un’azienda o un singolo imprenditore decide di vendere online i propri prodotti o servizi, la prima considerazione che deve fare è che non è lui l’attore principale del suo business.
Capisco che questo sia un punto difficile da digerire, perché va contro l’orgoglio imprenditoriale e tende a sminuire la propria storia e la professionalità di chi vende. Tuttavia, chi compra online nutre curiosità e interessi di primo acchito, che sono ben lontani dal tipo di informazioni che l’azienda avrebbe il piacere di comunicare.
È così che, non tenendo conto di questa grande verità nelle logiche della comunicazione su Internet, l’attività di lead generation (l’insieme delle azioni che consentono di attirare una clientela potenziale) è estremamente pericolosa per le casse degli imprenditori.
Difatti, se a seguito di un annuncio pubblicato online un visitatore atterra su una home-page, il cui maggior stimolo all’acquisto è rappresentato da una delle dieci frasi che ho appena evidenziato (ovviamente ce ne sono molte di più) il risultato sarà uno solo. E lo abbiamo già detto, ma vale la pena ribadirlo: avere pagato un clic per vendere nulla.
una partita a tre
Da quanto abbiamo appena scritto, va da sé che per vendere online l’imprenditore deve fare un passetto all’indietro. Non può restare da solo in prima fila, parlando esclusivamente di sé, in un ambiente in cui i principali attori sono tre:
Tutti e tre con uguale dignità, pur sapendo che la decisione finale di un acquisto spetta sempre al cliente e che il motore di ricerca è il tramite indispensabile tra chi acquista e chi vende.
Riprendendo a ritroso la triade di prima, in breve possiamo dire che le azioni che generano contatti devono prendere in considerazione il seguente schema:
Questa è l’operatività essenziale di un e-commerce.
L’attività di lead generation, dunque, non può consistere nella inadeguata e limitativa creazione di un annuncio pubblicitario, ma deve correlarsi in egual misura all’impresa, a Google e al cliente, generando un percorso virtuoso che conduca ad un acquisto.
Più che lead generation, che è un termine ormai obsoleto, sarebbe opportuno che questo insieme di azioni risiedessero sotto il nome di “strategia di vendita”, che ci sembra molto più adatto.
Come si vede, in questa fase il layout, la piattaforma e tutto quanto fa parte del corollario tipico di coloro che si propongono alle aziende per realizzare e-commerce “di successo” c’entra solo relativamente.
Ovviamente non stiamo parlando di e-commerce che fanno riferimento a brand noti al grande pubblico. Se voglio comprare un Rolex sul web, ho solo una scelta. Quella di collegarmi al sito di Rolex. In questo caso l’attore principale è uno solo: il marchio.
l’esempio di Amazon
Se vogliamo fare una considerazione macroscopica, ma vera, possiamo dire che Amazon è l’e-commerce che vende di più al mondo, ma è anche uno dei più brutti che un web design potesse realizzare.
Eppure vende e, se ci riflettiamo un po’, ci accorgiamo che:
Sul piano della filosofia per vendere online, non cambia nulla rispetto ai tre punti che avevo evidenziato come operatività essenziale per un e-commerce.
Come ormai i nostri lettori sanno, il Magazine di evoluzionecommerce non è mai stato tenero con Amazon. Il motivo principale è che il colosso americano, come ogni grande impresa al mondo, fa soltanto il proprio interesse. Marcia dritto per la sua strada e travolge tutto ciò che gli si para davanti.
Questa posizione lo pone in contrasto con gli interessi delle aziende venditrici. Il nostro giudizio è che aprire un e-commerce non deve essere un’azione mordi-e-fuggi. Si tratta invece di un vero e proprio ramo d’azienda destinato, anche nel tempo, a costituire un canale di vendita irrinunciabile.
Ecco perché non amiamo Amazon, perché non è sul marketplace che un’impresa può costruire il suo futuro. Ne abbiamo già parlato tante volte e non è questo lo scopo dell’editoriale di oggi.
Tuttavia, bisogna riconoscere che Amazon ci ha insegnato a vendere e che le sue strategie, almeno in parte, possono essere applicate con profitto anche sugli e-commerce di proprietà delle singole aziende.
la tre intenzioni d’acquisto
Amazon è una piattaforma generalista e, anche se si potrebbe pensare il contrario, intercetta le intenzioni di un pubblico che per lei è estremamente profilato, sia pure nella sua grande estensione.
Il pubblico di Amazon è frettoloso, nevrotico, istintivo, inaffidabile, incline più al prezzo che alla qualità. Quando compra esprime intenzioni di acquisto strettamente correlate a queste sue caratteristiche e Amazon, grazie ad una immensa offerta, lo soddisfa con immediatezza.
L’essenzialità con cui espone i suoi prodotti è dovuta al fatto che la sua clientela potenziale non vuole pensare, non vuole intoppi nel suo percorso di acquisto. Compro e in poche ore ricevo, apro il pacco e mi godo quello che contiene. Punto e basta.
Come Amazon si sia adeguato alla personalità della sua clientela è un ricco insegnamento anche per gli e-commerce di proprietà delle singole aziende, che si propongono a clienti più attenti e raffinati di quelli appena descritti.
Tuttavia, la strategia di comunicazione è la stessa. Bisogna intercettare le intenzioni del cliente potenziale, in modo da soddisfare pienamente la sua esigenza, volontà, desiderio di procedere ad un acquisto.
È alla sua mente, al suo cuore, alla sua sensibilità che dobbiamo parlare per catturare il suo feeling verso ciò che gli vogliamo vendere.
Se nel cliente questo sentimento non esiste, vuol dire che sono stati creati lead non profilati.
Come insegnano i guru del marketing americani, è un feeling che il cliente esprime in diverse fasi del suo percorso di acquisto. Le sue intenzioni, infatti, variano in funzione della distanza che lo separa dalla cassa.
È un percorso che possiamo suddividere in tre diversi momenti nella sua fase di avvicinamento a quando decide di mettere mano al portafoglio.
Per essere più precisi (fase 1), un cliente può essere intercettato quando la sua intenzione è quella di ricevere informazioni su ciò che vorrebbe eventualmente comprare.
Nonostante sia stato perfettamente profilato, in questa fase è ancora lontano dal prendere un prodotto e metterlo nel suo carrello.
Per fare un esempio, il cliente ha un problema di acne sul viso ed è alla ricerca di una soluzione. Può essere una crema, una dieta, una diavoleria elettrica oppure una estetista.
In questa fase, creare lead appropriati significa offrirgli, come soluzione migliore, quella che l’e-commerce aziendale propone, facendogli escludere tutte le altre.
Continuando nell’esempio, se il negozio online è quello di una estetista che vende appuntamenti per il proprio lavoro, questo è il momento di dare battaglia alla concorrenza indiretta, cioè a tutti quei prodotti che si propongono come miracolosi per risolvere quel problema. No alle creme, sì ai trattamenti di una professionista.
La seconda fase non è necessariamente conseguente alla prima. Tuttavia il cliente dispone già di tutte le informazioni necessarie per procedere ad un acquisto. Per questo motivo va direttamente alla ricerca di un brand o di uno specifico prodotto.
È evidente che in questa fase la comunicazione per condurlo ad acquistare deve essere impostata differentemente da come aveva deciso di esprimersi l’estetista dell’esempio precedente.
In questo caso sarebbe bene valorizzare i benèfici effetti del prodotto richiesto, pur mettendo in guardia sul fatto che una errata applicazione, non eseguita a regola d’arte da una estetista, potrebbe non ottenere i risultati sperati, se non addirittura creare danni irreparabili alla cute.
Poi c’è la terza fase in cui intercettare le intenzioni del cliente. È quella in cui la persona è già decisa ad acquistare. Sa cosa comprare e vuole soltanto decidere a chi dare i propri soldi.
Qui la battaglia si sposta dalla concorrenza indiretta a quella diretta. Riprendendo l’esempio che abbiamo fatto, il cliente ha capito che deve recarsi presso una estetista e deve sottoporsi ad alcune applicazioni con prodotti specifici per risolvere il suo problema di acne sul viso.
Quale estetista sceglierà? Quella più vicina a casa? Quella consigliata da un amico? Quella con il negozio più bello? Quella che costa meno? Oppure quella più giovane e carina?
Un’attenta analisi dei comportamenti di chi si sottopone a questo genere di trattamento saprà fornire la risposta ai quesiti appena esposti.
Questo è un momento molto delicato per l’acquisizione di un cliente. È facile comprendere che se il cliente è interessato all’estetista giovane e carina, mentre invece la comunicazione per catturarlo si esprime sul miglior prezzo, si tratterà di un flop. E così viceversa. Zero vendite.
Sostanzialmente, per riassumere, le strategie di lead generation devono sapersi adattare alle differenti intenzioni con cui un potenziale cliente decide di mettersi in contatto con il sito di chi vende e alla fase in cui si trova nel suo percorso di acquisto.
Non sono ammessi errori, che costano clic inutili e perdite potenziali di clienti, lasciati alla mercé di concorrenti più abili e attenti.
L’attività di lead generation è necessaria per chiunque voglia vendere online, ma deve essere correlata ad una strategia di attacco al mercato, che anticipa e va oltre i contenuti del sito, il design, la piattaforma, la SEO e tutto ciò di cui si parla come fosse un catalogo di servizi da propinare alle imprese.
Al contrario, la costruzione di un e-commerce, o la sua messa in funzione, è costituita da un solo elemento: l’installazione di un sistema completo per vendere online. Con tutte le sue parti integrate, comprese anche le azioni per acquisire clientela atta agli acquisti. Chiamiamola pure lead generation.
Questa la domanda a cui molte aziende devono dare risposta.
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