Voglio entrare subito nel vivo di questo articolo. Non è una campagna pubblicitaria ciò che produce vendite ad un ecommerce, ma tutto ciò che serve per impostare una valida azione di marketing. La domanda che ci si deve porre non è “quanto investire in pubblicità”, ma cosa devo comunicare e come. E si parte da […]
Voglio entrare subito nel vivo di questo articolo. Non è una campagna pubblicitaria ciò che produce vendite ad un ecommerce, ma tutto ciò che serve per impostare una valida azione di marketing.
La domanda che ci si deve porre non è “quanto investire in pubblicità”, ma cosa devo comunicare e come.
E si parte da qui.
Si tratta di sette tasselli di un mosaico comunicativo, fondamentali per la sua composizione e il risultato finale.
Perché un ecommerce venda veramente e ne goda di tutti i vantaggi, non mi stancherò mai di ripeterlo, è necessario preordinare i tempi con cui si mettono insieme i vari elementi di un progetto.
È quello che inderogabilmente facciamo qui ad evoluzionecommerce, perché è una questione di metodo consolidato e vincente. Entriamo più nel merito.
Se il quesito di quanto spendere online viene posto prima di ogni altra considerazione su come costruire un ecommerce, si rischia di trovare risposte inadeguate e non conformi ai risultati che si vogliono raggiungere.
In poche parole, il progetto è facilmente destinato a non avere successo, perché non si basa su una impostazione di attacco al mercato elaborata su basi concrete.
Chiedersi quanto potrei spendere in pubblicità prima ancora di avere stabilito una strategia di comunicazione non ha molto senso. Anche perché la risposta potrebbe essere: niente!
A volte, le campagne pubblicitarie a pagamento non sono neppure necessarie, specie negli ecommerce nati per il b2b.
Poche righe fa ho parlato di tasselli di un mosaico. Sono principalmente sette e sono necessari prima di arrivare a definire i costi di una campagna.
Prima di analizzarli, vediamo invece cosa succede abitualmente quando un imprenditore si rivolge ad una web agency per la costruzione del suo ecommerce.
Nulla a che fare con i sette tasselli che avevo elencato all’inizio dell’articolo.
Difatti, quello che succede nella maggior parte di questi casi è che il cliente, in un primo momento, rimane soddisfatto del design e si rende orgoglioso di avere finalmente un proprio ecommerce.
Di tanto in tanto vede il suo annuncio pubblicitario apparire e sparire sui media online e, se gli sono stati consegnati gli accessi ad Analytics, vede anche crescere le visite sul suo sito.
Ciò che non vede crescere quasi mai sono le vendite. Quindi, dopo avere speso già un bel po’ di soldi tra costruzione del sito e marketing, comincia a chiedersi cos’è che non va in questo sistema.
La risposta della web agency è duplice:
oppure
La storia diventa infinita.
Da una parte, dopo i primi insuccessi, l’imprenditore viene invitato a spendere ancora di più, senza nessuna garanzia. Dall’altra parte si ribalta su di lui la responsabilità di un insuccesso.
Ma la realtà è davvero un’altra, perché quello che conta non è solo quanto spendo in marketing. Peraltro portare accessi su un sito non vuol dire convertirli in vendite.
Difatti, le campagne di marketing vanno impostate in funzione di un progetto di vendita che, nelle tempistiche, deve precedere la realizzazione dello stesso ecommerce.
La comunicazione non può essere isolata dalle linee generali del progetto. Già preventivamente ne deve fare parte integrante.
Cosa vado a vendere?
Nel mercato tradizionale spesso servono cataloghi molto ricchi di prodotti. Mi vengono in mente quei bazar, piccole cartolerie, tabaccai che vendono un po’ di tutto.
Online esistono ecommerce generalisti, veri e propri bazar, che da anni fanno questo mestiere con successo. Amazon su tutti.
Competere con loro è impossibile. Così come è drammaticamente pericoloso utilizzare il loro ecommerce per vendere. Racconterò a breve la storia di un nostro cliente che, dopo essersi dissanguato finanziariamente su Amazon, ha dovuto ripartire da zero.
Contro questi colossi non si deve competere, ma bisogna differenziarsi. Ecco perché la scelta dei prodotti da vendere è di primaria importanza.
A chi?
Se ho un negozio su una strada, il cliente che entra per acquistare lo vedo fisicamente, lo inquadro, cerco di conoscerlo sul momento. Poi mi comporto di conseguenza per vendergli qualcosa.
I commessi più bravi sono quelli che si pongono di fronte al cliente con la giusta attenzione psicologica. Una volta i venditori di automobili erano bravissimi in questo.
Online questo contatto non esiste. Il problema del “chi è il cliente che mi sta di fronte” si deve affrontare in un’altra maniera. Lo studio preventivo del buyer persona è il secondo tassello indispensabile per il nostro mosaico chiamato ecommerce.
Dove?
Spesso noi ci troviamo di fronte ad aziende che ci chiedono la consulenza per campagne pubblicitarie su Facebook.
Semplificando il confronto avviene così:
A mio modo di vedere, questo genere di richiesta è come se una persona andasse dal medico e gli dicesse che è da tempo ha male ad una gamba. Per questo motivo chiede che gli sia prescritto quante Aspirine deve prendere al giorno.
Sì, ma se non è l’Aspirina il medicinale indicato per risolvere il problema alla sua gamba? Forse il medico dovrà prescrivere qualcosa d’altro.
L’esempio calza a pennello sul tipo di media che deve essere scelto per farsi conoscere e vendere online.
Qualcuno riesce a vendere tramite Facebook o Instagram. Molti altri no. Idem per quanto riguarda Google Ads.
Mettiamo al loro posto tutti i tasselli e poi affrontiamo il tema di dove fare pubblicità.
Con quale concorrenza
mi confronto?
Questo è un tema che pochi affrontano su basi scientifiche. Prima di capire perché una persona debba comprare lo stesso prodotto da un ecommerce piuttosto che da un altro, bisogna analizzare come si propongono gli ecommerce concorrenti.
È un lavoro meticoloso, che prende molto tempo, ma è necessario. È preferibile non scontrarsi sui punti forti della concorrenza, ma attaccarla sui suoi punti di debolezza.
In ogni caso bisogna imparare da chi vende di più e meglio i nostri stessi prodotti, senza cadere nella deprimente battaglia del prezzo.
Quali sono i messaggi
che devo erogare sul sito?
Una volta messi insieme questi primi tasselli, di cui ho appena parlato, è necessario tradurre i risultati nei contenuti con cui riempire l’ecommerce.
Non tutti i blog sono uguali, non tutte le schede prodotto sono uguali, non tutti i carrelli si riempiono alla stessa maniera.
Chi visita l’ecommerce perché ha visto una pubblicità che lo ha invitato a farlo, non deve rimanerne deluso. Tutto deve essere congruo con la strategia individuata e con i relativi messaggi erogati.
Spesso mi trovo di fronte ad annunci online che dicono l’esatto opposto di quanto poi trovo sul sito di riferimento.
La coerenza tra comunicazione e contenuti è basilare, anche perché un ecommerce non nasce solo per vendere, ma anche per comunicare.
Come posso poi esportarli
sui media pubblicitari?
Adesso sì. Finalmente possiamo tradurre le strategie di vendita in campagne di marketing online.
I messaggi erogati devono seguire attentamente e con logica tutto il lavoro fatto prima.
Probabilmente è inutile inventarsi slogan ad effetto. Il pubblico è ormai abituato alle tante fesserie che si vedono negli spot pubblicitari televisivi. Non se ne può più.
Non è assolutamente vero che chi più grida, più vende. Vende chi è più sincero.
Io credo che online bisogna essere concreti, dire la verità e colpire per soddisfare l’esigenza del cliente potenziale, che già abbiamo individuato attraverso lo studio della buyer persona.
Senza tralasciare gli importanti ed efficaci insegnamenti di quelle strategie di comunicazione che fanno capo ad una scienza ormai testata nel tempo e che risponde al nome di neuromarketing.
Quale media devo utilizzare?
Ora il cerchio si chiude. Una campagna pubblicitaria serve davvero se abbiamo messo insieme tutti i precedenti tasselli. Solo così potremo scegliere quale deve essere il mezzo di comunicazione più rispondente al prodotto e a chi è interessato ad acquistarlo.
Sappiamo bene che i tre grandi media (Google, Facebook e Instagram) hanno peculiarità e pubblico completamente diversi.
Saperli utilizzare significa avere analizzato qual è il pubblico su cui veicolare la comunicazione e avere capito come intercettare la sua attenzione allo scopo di tradurre il suo interesse in un acquisto.
Ora, come avevo promesso, mi sembra utile raccontare l’esperienza di un nostro cliente dissanguatosi nel marketing, prima di trovarsi a zero ordini.
Ne camuffo un po’ le caratteristiche per una questione di rispetto e di privacy.
Questo imprenditore importa dalla Cina prodotti consumabili che, con un buon ricarico, aveva messo in vendita su Amazon.
In un tempo piuttosto breve è riuscito a vendere oltre 2.000 pezzi al mese, pur partendo da zero. Una euforica esplosione.
La buona marginalità gli consentiva di soddisfare le richieste di Amazon che, mese dopo mese, lo aveva però portato a spendere oltre 25.000 euro mensili in pubblicità.
Difatti Amazon ha un suo proprio canale pubblicitario al cui fatturato è ovviamente molto interessato.
La giustificazione della crescente richiesta di Amazon stava nel fatto che altri concorrenti si stavano affacciando sullo stesso mercato con il medesimo prodotto. Quindi per sovravanzarli nella visibilità era necessario impegnarsi con un marketing più massivo.
Il nostro cliente in un primo momento aveva soddisfatto questa tendenza al rialzo delle spese pubblicitarie, anche se questo significava erodere sempre di più le sue marginalità.
Ad un certo punto, tuttavia, i margini erano diventati così risicati, che le spese pubblicitarie avevano raggiunto il loro break even.
Senza scomporsi, Amazon ha immediatamente privilegiato un altro fornitore, capace di supportare campagne a costi superiori.
Basta, più di così era irragionevole spendere.
Il nostro cliente, che adesso sta costruendo un proprio ecommerce per rilanciarsi sul mercato, è passato da 2.000 vendite mensili a zero. È sparito da Amazon in men che non si dica. Peraltro, con un magazzino ancora carico di prodotti da smaltire.
Che cosa ci insegna tutto questo?
Aldilà di ogni considerazione sulle politiche di Amazon verso i propri fornitori (peraltro assolutamente legittime), credo che valga la pena riflettere su quanto sia importante affrontare le vendite online sulla base un progetto.
La nevrosi di fare marketing non serve, come ogni serio consulente di questo settore dovrebbe fare comprendere con estrema chiarezza ai propri clienti.
Quello delle campagne pubblicitarie online è un settore nel quale è sempre bene confrontarsi, prima di creare un budget di spesa.
Questa la domanda a cui molte aziende devono dare risposta.
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