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Indagine Censis – Come compreranno gli italiani nei prossimi mesi

Un esame delle difficoltà del presente in funzione di un modo più costruttivo di interpretare e programmare il futuro – Perché le aziende italiane sono pigre nell’intercettare il cambiamento – Cosa sapere per vincere la partita – Leggi questo e altro nell’articolo.

Questo mio post di oggi nasce dalla recente pubblicazione di una indagine del Censis (Centro Studi Investimenti Sociali), sulla base di dati ufficiali forniti dall’Istat (Istituto Nazionale di Statistica).

Si tratta dunque di considerazioni su basi reali, che spero possano essere utili per cercare di capire meglio quale sarà il futuro delle vendite nei prossimi mesi.

Soprattutto nell’ottica delle vendite online.

Per comodità di chi legge, cercherò di anticipare in poche parole quanto descriverò più ampiamente nelle prossime righe.

Questi i tasselli del puzzle che compone il quadro di ciò che succederà commercialmente nel prossimo quadrimestre, così come delinea l’indagine del Censis:

  • Lo smart working non sarà più una scelta forzata, ma la consapevolezza che da casa si lavora meglio, si produce di più e si costruisce una vita migliore. 
  • La crisi in atto pretende un cambiamento dei costumi, per ridurre l’impatto negativo sulle famiglie e sulle aziende.
  • Sulla base dei due punti precedenti, gli acquisti con metodi tradizionali resteranno in vorticoso calo, mentre continueranno a crescere quelli online.
  • Sulla base dei tre punti precedenti, anche le città si stanno riorganizzando per favorire la decongestione, la sicurezza e gli aspetti ambientali.
  • Sulla base dei quattro punti precedenti, cambiano le opportunità di business.

lo smart working

L’indagine del censis si chiama ”Italia sotto sforzo. Diario della transizione 2020” e, nonostante un diffuso pessimismo sulla crisi economica in atto, il 60,4% degli intervistati apprezza i benefici dello smart working e della possibilità di acquistare da casa o dall’azienda attraverso gli ecommerce.

Le comodità sono del tutto evidenti e sono condivise anche dai sindacati che, tuttavia, vogliono normare questa nuova tipologia del lavoro.

Dal punto di vista delle aziende, difatti, è molto più semplice effettuare controlli sulle attività dei dipendenti, perché tutto il lavoro avviene su dati informatici, da cui si possono creare report in merito alla efficienza di chi opera.

Dal punto di vista dei dipendenti, lavorare da casa è una comodità in merito alla privacy del tempo che si dedica al lavoro. Mentre siamo al computer, possiamo ascoltare musica, guardare la televisione, condividere la vita familiare.

Non solo. Secondo il Censis, l’apprezzamento equivale anche al desiderio di continuare a lavorare da casa. Da qui, in poi, per sempre.

Come ho più volte scritto su questo blog, il lavoro da casa ha generato una sorta di digitalizzazione di tutta la nostra vita. Così si giustifica anche l’esplosione degli acquisti online che, dunque, perdureranno e si incrementeranno anche nei prossimi mesi.

il cambiamento dei costumi

Il 61% degli intervistati si dice convinto che il Coronavirus ha dimostrato che si può vivere in modo diverso e migliore rispetto al passato.

Ad esempio, riducendo i lunghi spostamenti per raggiungere i luoghi di lavoro, le spese di viaggio, i tempi di inattività.

E, d’altronde, gli italiani sono convinti (è sempre l’indagine che lo afferma) che la recessione che colpirà nei prossimi mesi l’Italia, e il mondo occidentale in generale, sarà ancora peggiore delle due precedenti del 2008 e del 2012. 

Sono anche convinti che le misure messe in atto dal Governo non saranno sufficienti a parare il colpo.

Per questo motivo, tornare a vivere come prima sarebbe come doversi adattare a vivere peggio. Qualcosa, dunque, bisogna cambiare nella nostre abitudini di tutti i giorni. E forse si vivrà anche meglio.

crollano gli acquisti tradizionali
mentre crescono quelli online

L’altro giorno mi trovavo per lavoro in una delle vie centrali di Milano. Si chiama via Torino e chi conosce la mia città sa bene che si tratta di una delle strade più fornite di negozi grandi e piccoli, dove la coda alle casse è quasi inevitabile.

Ebbene, c’era poca gente per la strada e i negozi erano semivuoti. Quattro persone al massimo al loro interno.

Ciò che più mi ha stupito è che, nonostante quell’area commerciale sia nota anche per non essere tra le più economiche, i prezzi esposti sulla merce in vetrina  erano davvero a livello di bancarella. Una camicia costa 12 euro, tanto per comprendere. E così via tutto il resto.

Inoltre, ho visto che ci sono molti negozi che espongono cartelli del tipo: “Area riservata alla consegna degli articoli acquistati online”.

Tutto questo obbliga a una riflessione. I dati statistici che ci informano sul calo delle vendite tradizionali non sono soltanto numeri: i negozi sono davvero in crisi. Tuttavia c’è molta gente che acquista online e poi va a ritirare la merce in negozio.

Questo è uno dei fenomeni più recenti nel mondo degli ecommerce, su cui mi soffermerò in altri post che pubblicherò nel corso dell’estate.

Tuttavia, è indubbio che certe strategie di vendita portano ad un’unica conferma: le vendite di tipo tradizionale hanno bisogno del supporto delle vendite online, che sono in continuo aumento.

le città si stanno riorganizzando

In una situazione come questa, dunque, appare quanto mai evidente che non solo i costumi stanno cambiando, ma sarà anche modificato l’assetto e l’organizzazione delle città: meno gente per strada, maggiore frammentazione di locali e servizi sul territorio.

Tanto per intenderci e per fare un esempio banale ma concreto: meno pause caffé e panini per pranzo, più servizi di consegne a domicilio. Anche dal bar sotto casa, se necessario.

Anche nel settore b2b la situazione non cambia. 

Un nostro cliente che produce minuterie e vende soltanto ai grossisti ha affiancato il suo nuovo ecommerce alla rete-vendita tradizionale. In pochi mesi le vendite online sono cresciute in modo esponenziale rispetto a quelle tradizionali, che sono rimaste ai livelli pre-Covid.

A mio modo di vedere, questo succede perché anche gli uffici-acquisti delle aziende adottano lo smart working e, quindi, stanno apprezzando la rapidità e la facilità dei rapporti che solo le piattaforme ecommerce sono in grado di offrire. Anche tra azienda e azienda.

Ho portato questi due esempi (il bar sotto casa e il produttore di minuterie), perché lo scopo dell’indagine del Censis è quello di esaminare le difficoltà del presente in funzione di un modo più costruttivo di interpretare e programmare il futuro.

cambiano le opportunità di business

Dunque: come si comporteranno le vendite nei prossimi mesi? Per rispondere a questa domanda ci vengono in aiuto le previsioni di acquisto che con cadenza annuale sono elaborate dal Censis in collaborazione con Confcommercio.

Gli ultimi risultati in tal senso risalgono al mese di marzo 2020. Questa la graduatoria nel b2c:

  1. Beni tecnologici
  2. Elettrodomestici
  3. Mobili per la casa
  4. Materiali per piccole ristrutturazioni casalinghe

Con qualche punto di percentuale in meno seguono l’abbigliamento, il drink & food, le attrezzature sportive, materiali e servizi per il tempo libero.

Per il b2b sono in forte crescita il settore dei ricambi e dei servizi per le aziende.

C’è però un problema di fondo che va risolto. Quasi mai le aziende riescono ad intercettare il cambiamento, prima che questo si manifesti in modo conclamato sia all’atto pratico (diminuiscono le vendite tradizionali e aumentano quelle online), sia sul piano della comunicazione (ne parlano diffusamente giornali, radio e televisione).

Su questo punto la sensibilità dell’imprenditore medio italiano è piuttosto pigra, come dimostra il grafico che viene pubblicato dal Censis su dati Istat.

Il grafico indica chiaramente che la fiducia delle imprese segue il trend di quella dei consumatori, ma con percentuali di spostamento molto più basse, quindi tardive. Cioè gli imprenditori seguono l’onda, ma sono molto lenti nell’attrezzarsi per soddisfare le nuove esigenze della propria clientela.

Difatti, come dice il rapporto del Censis, l’esplosione degli ecommerce in Italia è dovuta principalmente all’intensificarsi della richiesta da parte di chi deve procedere ad un acquisto, che non alla predisposizione delle aziende per cercare nuovi clienti, grazie all’online.

È indubbio che in una situazione come questa la palma del vincitore va a chi si rende conto del cambiamento prima degli altri e decide di vendere online, prima che le fette di mercato vengano occupate da altri suoi concorrenti più vivaci.

Siccome stimo moltissimo gli imprenditori italiani, io credo che probabilmente siano bloccati dalla mancanza di consapevolezza del mondo online e dalla mancanza di tempo da dedicare al cambiamento. Pur se necessario.

Difatti, oggi, creare un ecommerce può costare davvero poco e, quindi, non stiamo parlando di investimenti preoccupanti, tali da bloccare l’evoluzione del commercio.

"Quanti tuoi clienti comprano online?"

Questa la domanda a cui molte aziende devono dare risposta.

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