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E-commerce in Italia: quali e quante sono le imprese che vendono online

Chi sono, dove sono e cosa producono gli imprenditori che si sono dotati di un proprio negozio su Internet. Un mondo immenso che presto diventerà stretto

Nel Magazine di evoluzionecommerce parliamo spesso di come organizzarsi per vendere online. Abbiamo anche sfatato più volte la favoletta che sia rapido e facile avere successo su Internet. Tuttavia il mercato del web non può essere trascurato perché tutto il mondo, anche in Italia, lo sta utilizzando per i propri acquisti, sia per quanto riguarda il consumatore finale, sia per le aziende B2B. E allora, per aiutarci a capire realisticamente se sia utile aprire e gestire un proprio negozio online, vale la pena dare uno sguardo all’ “erba del vicino”, cioè ai dati ufficiali che riguardano le aziende che già vendono con profitto sul web: quante sono, chi sono, quali sono i loro prodotti e quale vantaggio ne traggono.

I dati ufficiali del CRIF

Come è noto alla maggior parte delle imprese, il CRIF è quell’azienda specializzata in informazioni creditizie, utilizzata da tutti i sistemi bancari per assegnare un ranking a persone e società operative.

I dati che sto per pubblicare qui di seguito sono relativi alle statistiche ufficiali CRIF, aggiornate a tutto settembre 2022.

Credo che sia utile riportarli, perché si abbia una fotografia precisa dell’incidenza del mondo online sull’insieme del tessuto produttivo e commerciale del nostro Paese. Ed anche per capire quanto esso sia stato fin qui utile alle aziende e quanto spazio di crescita possa ancora offrire.

Partiamo da questo dato: tra aziende e partite IVA, nelle diverse Camere di Commercio italiane sono iscritte 6.050.847 imprese, costituite con caratteristiche di diverso tipo. Non tutte risultano in attività.

Per quanto riguarda il solo settore delle vendite online i numeri sono i seguenti:

  • aziende dotate di un proprio e-commerce = 70.000;

di cui:

  • società di capitali = 54%;
  • imprese individuali = 30%;
  • società di persone = 15%
  • società di altre forme = 1%.

Per dare un’idea del loro valore commerciale, possiamo dire che:

  • producono un fatturato inferiore ai 5.000.000 di euro = 88%;
  • hanno meno di 5 dipendenti = 64%;
  • hanno oltre 10 dipendenti = 20%.
  • hanno dipendenti da 6 a 10 unità = 16%;

La loro dislocazione geografica nello stivale è la seguente:

  • Lombardia = 18%;
  • Lazio = 9,9%;
  • Campania = 9,5%;
  • Veneto = 8,8%,
  • Emilia Romagna = 8,4%;
  • Toscana = 7,6%;
  • Piemonte = 7%;
  • Sicilia = 6,6%;
  • Puglia = 6,1%;
  • Marche = 3,3%
  • Calabria = 2,5%
  • Abruzzo = 2,2%
  • Liguria = 2,1%;
  • Umbria = 1,9%;
  • Trentino – Alto Adige = 1,8%;
  • Sardegna = 1,8%;
  • Friuli – Venezia Giulia = 1,5%;
  • Basilicata = 0,8%;
  • Valle d’Aosta = 0,2%.

Dal punto di vista della classificazione merceologica possiamo riportare la seguente suddivisione:

  • commercio generalizzato all’ingrosso e al dettaglio = 51,7%;
  • manifattura = 17,5%;
  • agricoltura = 5%;
  • informazione e comunicazione = 4,6%;
  • alloggio e ristorazione = 3,5%;
  • altro = 17,7%.

Da una indagine svolta per conto di CRIF, le imprese intervistate hanno dichiarato che:

  • l’e-commerce ha aiutato a superare meglio la crisi = 31%;
  • hanno aumentato i propri fatturati = 56%;
  • hanno assunto nuove figure professionali = 30%;
  • hanno dimezzato i rischi commerciali = 63%;
  • si dichiarano soddisfatte del proprio processo di digitalizzazione = 71%.

Considerazioni sui dati

I numeri non mentono e i dati fin qui riportati sono scientifici. Tuttavia ci permettono anche di proseguire con alcune valutazioni che aiutino chi legge nelle proprie decisioni in relazione al mercato online.

Anche sulla base delle esperienze acquisite (ogni giorno dagli Anni ’90) dalle specializzazioni di evoluzionecommerce.

In altre parti abbiamo già scritto alcune informazioni che vale la pena ricordare:

  • nel 2022 l’86,4% degli italiani che navigano sul web hanno consultato un sito e-commerce;
  • nel 2022 gli utenti unici italiani che hanno comprato su Internet sono stati 38,1 milioni, 448.000 in più dell’anno precedente;
  • nel 2022 la crescita del fatturato e-commerce è salita del 14% rispetto al 2021, nonostante il “fuori-tutti” dovuto alla agognata fine del periodo pandemico;
  • nel 2022 hanno aperto un nuovo negozio su Internet ulteriori 2.800 aziende;
  • nel 2022, in Italia, il fatturato dell’intero comparto ha superato i 50 miliardi di euro;
  • e, infine, a tutto il 2022 l’88% degli italiani, aziende comprese (B2B), ha acquistato almeno una volta su Internet.

Ma partiamo dal numero degli imprenditori che hanno già deciso di essere presenti online con un proprio e-commerce. Sono 70.000 su un numero di attività di circa sei milioni e mezzo.

È un dato che, in termini di percentuale, è molto inferiore a quello di altri Paesi europei:

  • in Germania, ad esempio, sono attive 2.706.739 imprese (dato del 2021) di cui online circa 98.000;
  • in Spagna sono attive circa 3.300.000 aziende, di cui vendono online oltre 100.000;
  • in Francia parliamo di 3.492.052 società, di cui 66.000 presenti con proprie vendite sul web.

Se guardiamo le percentuali, dunque, l’Italia è piuttosto indietro rispetto ad altri Paesi, che possono contare su un numero nettamente inferiore di imprese.

Il motivo di queste differenze sembra consistere nel fatto che il nostro Paese si distingue per un tessuto imprenditoriale di micro, piccole e medie imprese che sono proliferate per numero e capacità individuali, ma che stentano ad adeguarsi al rinnovamento.

D’altronde anche CRIF ci dice che la maggior parte di chi vende sul web è rappresentata da realtà con bilanci di fatturato inferiore ai 5 milioni di euro annui.

E, come vediamo dalla tabella che segue, anche in termini di fatturato noi abbiamo davanti ancora molta strada da percorrere. Questi i dati espressi in miliardi di euro in relazione al valore delle vendite online degli altri Paesi continentali:

  • Regno Unito = 236;
  • Francia 129,1;
  • Germania = 96,3;
  • Spagna = 68,4

Discorso differente, invece, è quello relativo alla crescita nel 2022 rispetto al 2021:

  • Grecia +77%;
  • Moldavia +49%;
  • Russia +41%
  • Svizzera +37%;
  • Svezia +36%.

Dunque, c’è un’onda lunga di grande crescita destinata ad arrivare anche in Italia dove, come detto, il fatturato online supera di poco i 50 miliardi di euro e l’incremento nel 2022 si attesta intorno a un +14%.

Pur riconoscendo che i traguardi raggiunti anche nel nostro Paese sono ragguardevoli, per quanto riguarda le-commerce ci aspettano stagioni di maggiori soddisfazioni.

Questo è uno dei motivi per i quali sono molti gli imprenditori che bussano alle porte del mercato su Internet e che sentono il peso di una migrazione verso l’online dei loro clienti tradizionali. È l’evoluzione del mercato che lo richiede.

Nonostante l’ampiezza dei dati che abbiamo appena pubblicato, non esiste ancora la possibilità di essere precisi sulla tipologia dei prodotti più venduti online in Italia lo scorso anno.

Ma possiamo dire che nel 2022 l’elettronica, l’abbigliamento e il food sono state le categorie merceologiche che hanno fatto registrare il maggior incremento di acquisti.

Tuttavia, la frammentazione imprenditoriale tipicamente italiana ha fatto sì che siano davvero tante le attività di nicchia che hanno avuto successo con un loro negozio online, sia nel settore dell’artigianato e dell’arredamento, sia in quello dell’arte, sia per quanto riguarda benessere e bellezza, sia nei componenti per l’impiantistica, sia nei prodotti per l’ufficio.

Le proiezioni verso il futuro, come ci informa il Politecnico di Milano, ci dicono che dal 2023 in poi si registrerà un’esplosione nel settore del lusso, che va dal singolo gioiello alle grandi marche automobilistiche.

La stessa Porsche ha inaugurato il suo primo e-commerce a fine dicembre 2022, come abbiamo recentemente pubblicato sulle nostre news quotidiane.

C’è spazio ma non per molto

Anche in Italia, come in altri Paesi, non tutte le attività produttive sono adatte per essere presenti con un proprio e-commerce.

Non lo sono molti uffici professionali, non lo sono le imprese edilizie, non lo sono i consulenti finanziari, non lo sono i laboratori di ricerca e via dicendo.

Se si considerano le caratteristiche di queste imprese e, dunque, le si escludono dalla possibilità di dotarsi di un proprio e-commerce, la percentuale delle aziende online sale vorticosamente rispetto alla globalità di chi può ambire a vendere sul web.

Per questo motivo e per la rapidità di crescita che ci porterà ai livelli europei in tempi brevi, lo spazio per inserire una propria attività su Internet, seppure ancora vasto, rischia di ridursi molto velocemente.

Innanzi tutto c’è da considerare che per vendere su Internet è necessario farsi conoscere e gli strumenti per ottenere questo risultato non sono infiniti. Anzi, rispetto al mercato tradizionale, sono molto pochi.

Ci sono i motori di ricerca (prevalentemente Google e YouTube), ci sono i social e ci sono i link tra i vari siti. Quando questi spazi saranno saturi, la battaglia tra le aziende si farà sempre più costosa.

La stessa Amazon dimostra quanto siano diventate esose le sponsorizzazioni sui propri cataloghi, spesso concorrenziali tra loro.

C’è poi da considerare che, già oggi, qualsiasi realtà imprenditoriale (grande o piccola che sia) deve preventivare investimenti annui di una certa consistenza per quanto riguarda il marketing e che, quindi, deve potere ambire a fatturati online di tutto rispetto.

Un e-commerce non può più accontentarsi di fatturare qualche decina di migliaia di euro, come avveniva qualche anno fa. Stiamo parlando di un mercato che deve rendere molto di più.

La grande corsa, iniziata quasi a livello amatoriale, oggi si è trasformata in una competizione che esige preparazione, attenzione, competenza, strategia e fisicità.

In uno scenario di questo tipo è comprensibile che ogni imprenditore lavori al meglio e il più rapidamente possibile per vincere la gara. Il che vuol dire essere leader nella sua fetta di mercato. O per la sua nicchia di clienti.

Giustamente è più vantaggioso investire oggi, senza attendere chissà quali tempi migliori, perché costa meno e perché sono ancora molte le aziende concorrenti non ancora mentalmente pronte per vendere online.

E presto le cose si complicheranno: ci saranno sempre più leader e i costi saliranno. E nel frattempo le sofferenze sul mercato tradizionale saranno aumentate (non per tutti ma per molti sì) e quindi saranno anche minori le risorse finanziarie da potere mettere in campo.

Certo, aprire un e-commerce è molto semplice, ma produrre vendite lo è molto meno, quindi è giusto che ogni imprenditore faccia le sue riflessioni con tutta calma e consapevolmente. Anche per potere disegnare un percorso di crescita online grazie a una politica dei piccoli passi. Investimenti graduali, man mano che arrivano i risultati.

Ma non si può attendere più per molto.

Una buona norma è quella di cominciare a confrontarsi con chi si è specializzato per affiancare le imprese nel loro percorso di vendita su Internet, assumendo informazioni e indicazioni sulle reali possibilità di riuscita di un progetto.

Sia che già esista un e-commerce poco produttivo (sono migliaia i casi), sia che ancora se ne debba costruire uno, un buon inizio è già qualcosa e, a dire il vero, può anche non costare nulla e fare risparmiare parecchio denaro.

"Quanti tuoi clienti comprano online?"

Questa la domanda a cui molte aziende devono dare risposta.

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