Il marketplace costringe gli imprenditori a raccogliere dati, di cui poi si impossessa per i suoi obiettivi, anche in concorrenza con le aziende stesse
Le regole del commercio sono le stesse da millenni. Se tu mi offri qualcosa che mi serve, concordiamo il prezzo e io te lo pago. O viceversa. Ed anche nel mondo del lavoro: se svolgi un’attività per mio conto, io ti pago per il suo giusto valore. È così che funziona. Eccezion fatta per le follie nel mondo del calcio e per la crudeltà in quello degli schiavi. Tuttavia, quel furbacchione di Jeff Bezos ha deciso di essere lui stesso un’eccezione. Dietro la promessa di illusori Eldorado, fa lavorare occultamente imprenditori e imprese per conto di Amazon. Neppure ringrazia e non si sogna di pagarle un solo centesimo. A quale attività mi riferisco? A quella di scouting, cioè della ricerca di nuovi clienti e del lancio di nuovi prodotti sul mercato online. È un lavoro ben mascherato, per nulla retribuito anche se è la base su cui è stato costruito l’impero del marketplace americano. Ve lo spieghiamo nelle righe che seguono.
Amazon è una calamita. È il dominatore assoluto del commercio online. È comodo, è rapido nelle consegne, non fa problemi nella politica dei resi, tiene i prezzi al minimo, presenta una vasta gamma di prodotti per qualsiasi categoria merceologica.
Queste sue caratteristiche hanno fatto sì che il marketplace di Jeff Bezos sia entrato nelle abitudini quotidiane di molti consumatori.
Ma, come ha fatto a costruire questa sua potenza? Chi lo ha aiutato a diventare il maggiore e più insidioso concorrente delle imprese? Cosa succede tuttora dietro le quinte di una quasi perfetta macchina per le vendite online?
Diciamolo chiaramente: Amazon non produce un bel nulla. Amazon è un rivenditore di prodotti altrui. Si tratta prevalentemente di piccolissime realtà e di imprenditori (spesso soltanto sedicenti) che ambiscono a conquistare il vasto pubblico presente sulla piattaforma americana.
Ma Amazon non è un miracolo piovuto dal cielo. Amazon richiede sacrifici che molto spesso sono spropositati.
E non parlo soltanto delle alte percentuali sulle vendite e degli investimenti necessari per ottenere visibilità. Di questo abbiamo già scritto in altre parti del nostro Magazine.
Parlo invece di quel lavoro occulto con cui le aziende alimentano la voracità di Amazon, impegnando tempo e risorse, e rischiando flop clamorosi anche in termini di investimenti.
È di questo che stiamo parlando, perché questo lato della collaborazione tra imprese e marketplace sfugge alla maggior parte degli imprenditori.
Difatti, nella realtà non è Amazon che porta clienti a chi vuole vendere sulla sua piattaforma, ma sono i venditori che sacrificano mezzi ed energie per portare clienti ad Amazon.
Si tratta di un concetto ribaltato che identifica quanto è successo in passato e quanto continua a succedere, anche se in modo occulto.
Nel prossimo paragrafo entrerò nel merito di quanto ho appena affermato. Tuttavia è bene anticipare una considerazione, che è relativa a quanto dichiarato dallo stesso Bezos qualche anno fa: “Farò di Amazon l’unico negozio al mondo“.
Non credo che ci riuscirà, ma l’indicazione di Bezos è quella di fare concorrenza a chiunque, sia sul piano organizzativo, sia su quello dei prezzi stracciati.
In entrambi i casi Amazon si rivela così il peggior concorrente di chiunque voglia vendere online, sottraendo marginalità, indipendenza e potere imprenditoriale.
Pertanto, credo che si possa affermare che chiunque aiuti Amazon nel conseguimento di questi obiettivi, lavora contro se stesso e contro il suo futuro.
Di quale aiuto si tratta? Lo vediamo insieme nel paragrafo che segue.
È indubbio che Jeff Bezos sia un uomo geniale e che per questo motivo meriti di stare nell’Olimpo degli uomini più ricchi al mondo.
Intorno alla sua piattaforma è stato capace di costruire un feudalesimo imprenditoriale machiavellico, mascherando sapientemente alle imprese che, quando sottoscrivono un contratto con Amazon, ne diventano vassalli.
Lavorano per il feudatario, gli portano i frutti delle loro fatiche, gli pagano i balzelli del proprio utile e conquistano nuovi confini per i suoi territori. Proprio come nel Medioevo.
Vediamo di tradurre tutti questi passaggi con quanto avviene oggi in concreto.
E qui entra in gioco l’attività di scouting. Quella a cui ci stiamo riferendo oggi dall’inizio dell’articolo del nostro Magazine. Un’attività a totale vantaggio di Amazon, totalmente a rischio delle imprese e per nulla retribuita.
Il termine di scouting viene comunemente associato al mondo dello sport o dell’intrattenimento. I registi cinematografici fanno scouting quando si tratta di costruire un cast, compreso l’ampio mondo delle comparse.
Le società agonistiche, dal canto loro, fanno scouting tra le giovani promesse che in futuro potrebbero diventare dei campioni.
Tuttavia, nel contesto di Amazon, il termine scouting assume un significato totalmente diverso.
Per Amazon gli scout sono proprio le imprese venditrici, che affidano al marketplace i propri prodotti online.
Sono scout, cioè esploratori, del mercato di riferimento. Ne saggiano i volumi, la qualità delle ricerche, i prezzi più congrui a favore del consumatore, le potenzialità di vendita, il confronto con la concorrenza.
Durante tutta questa attività Amazon lascia fare, sta alla finestra, ne controlla i risultati ed appronta le strategie che ritiene più opportune al proprio interesse. Comprese quelle di fare fallire il venditore a proprio vantaggio.
Per entrare più nella sostanza delle cose:
Durante tutte queste elaborazioni di Amazon, così come descritte, le imprese venditrici rischiano i propri investimenti nelle verifiche di un mercato che, se valido, passa immediatamente nella disponibilità di Amazon. Qualsiasi siano le sue strategie nell’immediato e nel futuro.
Dal canto suo Amazon, senza correre alcun rischio, si avvale dei risultati di un’opera di scouting a suo favore, attività che non ha mai pagato e per la quale ha invece incassato quanto richiesto alle imprese.
Possiamo anche metterla così:
Nonostante questa loro attività basilare, gli imprenditori costretti a fare scouting a favore di Amazon non ricevono un solo euro per questo loro contributo, anzi sono obbligati a subirne le regole, nonostante ne siano la forza reale.
Perché sono proprio le imprese che contribuiscono quotidianamente alla creazione, alla diffusione e al mantenimento di un catalogo che, senza di loro, sarebbe inesistente e comunque certamente meno interessante per gli acquirenti.
La triste verità è che sono pochi coloro che se ne rendono conto e continuano ad anelare ad una sorta di protettore dei propri destini online.
Nella realtà Amazon non è un protettore, ma un dominatore dei destini altrui. Così, mentre Amazon si arricchisce anche e soprattutto grazie alle aziende-scout, le imprese che vendono sul marketplace lottano per sopravvivere.
È indubbio che Amazon abbia contribuito in modo determinante alla creazione e allo sviluppo del mercato online, ma oggi tutto è cambiato.
Non è Amazon che fa vendere su Internet, ma il mondo degli ecommerce in generale che fa vendere le imprese. Cioè quel tessuto molto fitto di aziende che con i loro negozi indipendenti vendono sul web ad un pubblico sempre più vasto.
Negozi indipendenti, appunto.
Se andiamo a leggere con attenzione i contratti che Amazon impone alle imprese, ci accorgiamo che il marketplace può modificare le regole a suo insindacabile giudizio, nei modi e nei tempi che ritiene più opportuni.
Quando le sue politiche cambiano all’improvviso, è accaduto più volte, le imprese vengono messe in difficoltà e, spesso, non riescono ad adattarsi alle nuove condizioni.
L’algoritmo di Amazon può determinare la posizione dei prodotti secondo proprie logiche, facendoli scomparire, diminuendone il prezzo di vendita, oppure piazzandoli nel contesto di altri prodotti concorrenti.
Ognuna di queste azioni può creare gravi danni ad una impresa che, ironia della sorte, si era impegnata nel portare nuovi clienti ad Amazon e nel potenziare il suo catalogo generale.
C’è una evidente asimmetria tra il potere di Amazon e quello delle aziende-scout.
Lo si vede quando Amazon gestisce le controversie con il consumatore. Oppure quando si impone come unico fruitore della lista-clienti. Oppure quando decide di by-passare il venditore e di rivolgersi lui stesso direttamente al produttore. Lo può fare e già lo ha fatto.
Tutto questo assume una connotazione di beffa, le cui conseguenze possono rivelarsi disastrose.
Mentre Jeff Bezos e la sua azienda accumulano profitti record, molte imprese subiscono un trattamento ingiusto e lutti per la loro stessa sopravvivenza.
È necessario porre attenzione a questa disparità di potere e lavorare per garantire una completa autonomia del commercio online.
Solo così si può costruire un sistema in cui tutte le imprese abbiano la possibilità di prosperare, invece di essere inghiottite dall’ombra di un gigante poco avvezzo a riconoscere i loro meriti reali.
Questo post è un’esclusiva di evoluzionecommerce, il team che affianca gli imprenditori nelle vendite online. Chiedi per maggiori informazioni.
Questa la domanda a cui molte aziende devono dare risposta.
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Sono d’accordo su quasi tutto. Sul sottrarsi penso che ogni impresa dovrebbe e creare un proprio (alternativo) e-commerce in modo da non essere dipendenti (e con le modalità schiavizzanti da voi ben esposte) del tutto da Amazon. In sintesi si deve usare Amazono e non esserne (ab)usati.
Grazie Federico del tuo contributo.