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Contratto Amazon: ecco come blinda le aziende italiane

Esaminiamo insieme alcune delle clausole che impediscono alle imprese di gestire una propria autonomia commerciale

Il commercio elettronico è indubbiamente uno dei fenomeni più rilevanti di questi Anni 20 ed è indubbio che il negozio più redditizio al mondo si chiami Amazon.

Tuttavia non tutto è rose e fiori. Anzi sono molti e molto pericolosi alcuni aspetti che caratterizzano la presenza di Amazon sui mercati internazionali e, nella fattispecie, su quello del nostro Paese.

Amazon non commette nulla di illegale, ma quando si propone per affiancare gli interessi degli imprenditori italiani, è meglio andarci molto cauti.

Ed ecco i vari perché.

Innanzi tutto è bene sfatare la leggenda dell’uomo solo e intraprendente, una sorta di genio, che avvia la sua attività grazie ad un computer installato dentro un garage.

Non è così.

Jeff Bezos fonda Amazon il 5 luglio 1994 al cinquantaquattresimo piano di un lussuoso grattacielo nel centro di Bellevue, stato di Washington, Stati Uniti d’America.

Non nasce dal nulla ma è parte attiva di un gruppo di finanzieri molto abili nella gestione dei titoli. È da lì che riceve i primi soldi.

È una favola anche che sia partito con l’idea di vendere soltanto libri e che, solo nel corso della sua attività online, abbia poi aperto il suo mercato ad altri tipi di prodotti.

Fin dall’inizio Bezos ha sempre parlato di everythings store, cioè di un grande magazzino che contenga ogni genere di merce.

Peraltro a basso prezzo, come nel carattere di tutte le sue pubblicità: su Amazon costa poco.

Oggi, in Italia, Amazon ha aperto una scuola per gli imprenditori che vogliono vendere online. Ma non si tratta di un gesto di magnanimità. Lo scopo di Amazon è sempre stato quello di diventare l’unico negozio al mondo, quindi di uccidere economicamente il mercato di chiunque altro.

Un percorso più che legittimo, per carità, ma che non condivide certo gli interessi degli imprenditori, che abbiano a cuore il proprio brand e la propria autonomia.

Per questo molte aziende, dopo averne provato la partnership, si sono ormai allontanate dal colosso americano.

Per raggiungere questo ambizioso obiettivo, dunque, Amazon ha necessità di attirare dentro il proprio negozio le imprese produttrici e distributrici, qualsiasi sia il loro mercato, e di blindarne le politiche commerciali.

Decide Amazon cosa vendere, come vendere e a quanto. Decide Amazon da chi rifornirsi, quando un prodotto è di suo strategico interesse. Cioè quando un prodotto vende bene.

Il punto di attrazione di Amazon è molto semplice da identificare: Amazon è conosciuto, Amazon riceve milioni di visite sul proprio sito, Amazon (a richiesta) si occupa anche della logistica e delle spedizioni.

È un punto di attrazione molto forte, perché di fatto si propone al suo fornitore (le nostre aziende) come una sorta di solving partner. I problemi nascono dopo. Ma ci arriviamo.

Di fronte ad una proposta così allettante, l’imprenditore è disposto ad accettare qualsiasi forma contrattuale gli venga proposta. D’altronde non gli vengono offerte alternative.

Ed ecco alcuni punti dell’accordo con Amazon che una impresa non dovrebbe mai accettare, salvo che non voglia affidarsi al suo più potente concorrente online.

acquisto e vendita dei prodotti

Questa è una voce contrattuale che regola il rapporto di interazione tra Amazon e l’azienda (definita come “fornitore”) che vuole mettere i propri prodotti in vendita sul marketplace.

C’è una clausola che, riassumendo, afferma che Amazon può acquistare e rivendere i prodotti del fornitore, fatturando in proprio e decidendo autonomamente quando e se acquistare.

Nello stesso paragrafo si afferma che Amazon è il venditore di ciò che viene venduto ai clienti finali e che, per questo, Amazon può decidere autonomamente e a propria discrezione quando e come modificare i prezzi di vendita.

Questa clausola, del tutto legittima perché rientra negli interessi commerciali di Amazon, esclude di fatto l’imprenditore da una qualsiasi politica di mercato. Perdipiù, l’imprenditore deve ottemperare a tutti gli obblighi imposti dal contratto, senza avere la certezza che Amazon acquisti i suoi prodotti. Non è obbligata a farlo.

Vale a dire che, se il fornitore ha investito in sponsorizzazioni per vendere attraverso Amazon (chi non sponsorizza è difficile che venda …) e, grazie alle sue campagne di marketing, è riuscito a vendere, potrebbe trovarsi improvvisamente a zero ordini perché, autonomamente e senza doverne rendere conto, Amazon ha improvvisamente deciso di non comprare più i suoi prodotti. Quindi di non metterli più in vendita.

Questo normalmente avviene quando Amazon ritiene più utile favorire un fornitore concorrente. Oppure quando Amazon decide di mettere in vendita quel prodotto a proprio marchio Prime.

pagamenti

Amazon liquida il fornitore a 30 giorni dalla fine del mese in cui è stata emessa fattura per una vendita.

Vale a dire che se l’acquisto è stato effettuato ai primi di novembre, l’impresa non vede il suo denaro prima della fine di dicembre.

Di fatto, viene meno uno dei vantaggi fondamentali dell’e-commerce che dovrebbe garantire liquidità immediata alle imprese: il cliente paga prima che la merce venga spedita.

In questo caso, Amazon incassa subito e paga con largo comodo.

proprietà del prodotto

Amazon offre un servizio di logistica, che può essere condiviso o meno dal fornitore. Si tratta di un servizio molto costoso, anche se comodo. Per questo molti imprenditori decidono di spedire per proprio conto le vendite ottenute mediante Amazon.

In questo caso il fornitore deve rendere informare immediatamente Amazon sul processo di ogni spedizione e Amazon si auto definisce “proprietario del prodotto” nell’istante stesso in cui gli viene notificato l’invio.

In questo modo l’azienda fornitrice perde ogni diritto su quel prodotto, che magari gli è costato anni di ricerca, di lavoro e di perfezionamento, trasferendone la proprietà ad Amazon.

Come vedremo, questo passaggio incide fortemente e negativamente sulla politica dei resi.

la politica dei resi

Dichiarandosi proprietario del prodotto, Amazon ne fa quello che vuole. Sul quel prodotto decide a proprio vantaggio quale sarà il suo rapporto con il cliente finale. Tutto è perfettamente legale perché è previsto dal contratto.

Pertanto, se l’acquirente decide di restituire il prodotto, Amazon obbliga il fornitore ad accettare la restituzione senza potersi in alcun modo opporre. L’imprenditore perderà così l’incasso sulla vendita e quanto gli è costata la spedizione.

Ogni tipo di contestazione in tal senso è consentita, ma normalmente si rivela inefficace.

Spesso Amazon non chiede neppure al cliente di restituire il prodotto al fornitore, ma gli rimborsa il pagamento effettuato all’atto dell’acquisto. Quando questo succede, l’imprenditore non ha neppure la possibilità di recuperare il proprio prodotto, rimasto così invenduto.

la proprietà della lista clienti

L’articolo 5 dell’accordo tra fornitore e Amazon, recita chiaramente che chi acquista su Amazon è cliente di Amazon e non dei singoli fornitori.

Ma non basta.

Nel caso non fosse chiaro su come deve essere intrattenuto il rapporto tra clienti e fornitori, nell’articolo 5 si specifica che Amazon mette a disposizione del fornitore una chat, che è l’unica modalità di contatto possibile con il cliente finale.

Per il resto, l’azienda fornitrice non può e non deve cercare alcuna altra forma di contatto con il cliente acquirente, la cui gestione resta in capo ad Amazon.

Questo neppure mediante materiale cartaceo, come depliant, buoni sconto, cataloghi da inserire nella spedizione.

Qualora l’imprenditore non rispetti questa clausola, Amazon è autorizzata a chiudere immediatamente l’account senza offrire alcuna spiegazione. Basta, non si vende più.

E non è finita.

Nello stesso articolo si specifica che, qualora sia il cliente finale a mettersi spontaneamente in contatto con l’azienda fornitrice, quest’ultimo deve immediatamente avvisare Amazon e richiedere al cliente di contattare Amazon stessa, come descritto dalle procedure contrattuali.

Un bel bavaglio per le aziende fornitrici.

Ripeto ancora una volta che non c’è nulla di illegale nel comportamento di Amazon, ma trovo assolutamente inaccettabile che un’azienda debba rinunciare alla propria lista-clienti, che è il vero patrimonio della sua attività commerciale.

riassumendo brevemente

Nel titolo di questo articolo ho parlato di “blindatura”. In effetti lo spazio di azione delle aziende che si rivolgono ad Amazon per vendere online è quanto mai limitato e pericoloso.

L’azienda cede la proprietà dei suoi prodotti ad Amazon, che ne stabilisce le politiche commerciali, anche riducendo le marginalità dell’imprenditore: prezzi bassi.

L’azienda, per vendere, deve comunque fare marketing, altrimenti diventa poco visibile. Tuttavia il marketing non è destinato a valorizzare il proprio brand, ma Amazon stessa, con il pericolo che improvvisamente le vendite si riducano allo zero, se Amazon lo decide.

Il rischio molto grave è quello di avere investito tempo, risorse interne e denaro per poi ritrovarsi senza clienti e senza ordini.

Peraltro, per ogni prodotto venduto, le aziende devono retrocedere ad Amazon una percentuale, che varia tra il 4% e il 16%, a seconda dell’interesse che Amazon nutre verso quel prodotto.

Amazon vende online, ma vendere online non significa essere succubi di Amazon.

È pertanto consigliabile un’attività seria di vendita online, progressiva per lo sviluppo dei propri fatturati aziendali e della propria lista-clienti, mediante un proprio e-commerce dove l’imprenditore possa gestire in piena autonomia le proprie politiche commerciali.

"Quanti tuoi clienti comprano online?"

Questa la domanda a cui molte aziende devono dare risposta.

Scopri di più sul "Focus del mese"

4 risposte a “Contratto Amazon: ecco come blinda le aziende italiane”

  1. Franco ha detto:

    Bravo Lorenzo, sono perfettamente d’accordo con quanto riportato nell’articolo. Solo con una esperienza diretta su Amazon e con una valutazione obiettiva si riescono a percepire tutte le assurdità di questo stato di cose assurdo.
    Amazon spinge forte sugli inserzionisti affinché questi mettano in atto campagne di sponsorizzazione. Questa è una tagliola pericolosissima. Io ci ho provato per un certo periodo e i costi di conversione, uniti alla commissione sulle vendite, mi faceva andare sottocosto.
    Purtroppo queste sacrosante verità sono conosciute da pochi.
    Amazon ha i mezzi per costruirsi una facciata pulita sopra tutto ciò che c’è sotto, e la maggior parte delle persone vede solo questa facciata.
    Complimenti per il tuo impegno. Speriamo che la gente, un po’ alla volta cominci a svegliarsi.

    • Lorenzo Lo Vecchio ha detto:

      Grazie Franco. Amazon può essere utile ad azioni mordi e fuggi, a chi ha necessità di svuotare rapidamente il magazzino, ma non certo alla stabilità di un’azienda, al suo futuro e a quello del proprio brand. Purtroppo vediamo anche molte web-agency che promuovono le vendite su Amazon, in quanto si sono affiliate per ricavare qualche soldo in percentuale. questo non è un atteggiamento serio per chi si impegna nel successo dei propri clienti.

  2. Massimo ha detto:

    molto interessante e chiarificatore, grazie

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