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Amazon trend: i numeri del suo potere

Dallo studio dei numeri scopriamo qual è l’obiettivo di Amazon, chi ne ha paura e il pericolo che incombe sulle aziende.

Questi i dati di fine anno emessi dalla Borsa Italiana, relativi ad Amazon. Dallo studio dei numeri scopriamo qual è il suo obiettivo, perché c’è chi ne ha paura, qual è il pericolo reale che incombe su prodotti e aziende. E, infine, come contrastare la sua posizione dominante.

Partiamo dai numeri che, come sai, sono sempre alla base di questi post di evoluzionecommerce.

Nel 2018 (per il 2019 i dati non sono ancora definitivi) Amazon ha fatturato 232,88 miliardi di dollari, con un utile netto di 12,42 miliardi.

Negli States Amazon copre il 54% delle vendite online, mentre in Europa si attesta al 40%. La sua crescita negli anni, fino al 2019 dove è prevista una inversione di tendenza, è stata costante. Il motivo è che Amazon non è un’azienda votata al profitto, ma al potenziamento delle sue dimensioni.

Difatti Amazon non distribuisce dividendi, ma aumenta il suo valore azionario grazie ai ripetuti reinvestimenti del proprio utile.

Questo è l’obiettivo principale di Jeff Bezos, che non ha mai nascosto di voler diventare l’unico negozio al mondo, anche a costo di vendere sotto prezzo.

Questa politica ha un solo significato: dequalificazione del prodotto e impoverimento dei fornitori. Non è difficile immaginare che Amazon voglia diventare anche l’unico produttore al mondo, dopo avere sferrato il suo attacco alle aziende dei singoli imprenditori di ogni Paese. Italia compresa.

Poi, finalmente, potrà alzare i prezzi, essendosi liberato della concorrenza.

Negli Stai Uniti, il nuovo presidente della banca centrale, Jerome Powell, ritiene che il deprezzamento dei prodotti venduti da Amazon abbia perfino inciso sui misteriosi motivi della bassa inflazione americana.

Peraltro molti ritengono che Amazon, che ora vende anche i servizi a marchio Prime, possa perfino impossessarsi del business di banche e assicurazioni, il che rappresenterebbe una catastrofe finanziaria mondiale.

Per questo motivo sono già molte le istituzioni che si stanno ribellando al potere dominante di Amazon. Primi fra tutti la Commissione Europea, che nel luglio scorso ha aperto una procedura Antitrust, e il sindaco di Parigi, Anne Hidalgo, che accusa Amazon di essere promotore di precarizzazione.

In effetti, le cause più evidenti dell’espansione di Amazon sono sotto gli occhi di tutti.

Quindi, torniamo ai numeri: solo negli Stati Uniti, nel 2017 hanno chiuso 9.452 esercizi commerciali, mentre nel 2018 Amazon ha dato il via alla sua azione contro i grandi centri commerciali e le grandi catene di distribuzione, anch’essi in sofferenza.

Detto questo, cerchiamo di immaginare realisticamente quale possa essere lo scenario dei prossimi anni, se non corriamo prima ai ripari.

Molti paragonano il pericolo Amazon all’andamento della crisi ambientale. Tutti hanno rincorso il profitto momentaneo non rendendosi conto di remare contro il Pianeta, quindi contro se stessi. Con questo tipo di politica disattenta abbiamo creato problemi che oggi, forse, sono insormontabili.

Dunque vediamo di ragionare su cosa potrebbe accadere e come prevenire.

  1. Nella attuali condizioni di mercato, un produttore sente l’esigenza di vendere anche online. Lo fa perché i consumatori si stanno abituando sempre di più ad acquistare su internet e quindi non vuole restarne fuori. Lo fa anche perché, a volte, le vendite tradizionali registrano forti cali.
  2. In questo contesto Amazon è un autentico e convincente richiamo per i piccoli negozi e le aziende che si trovano nella situazione appena descritta, cioè che essere online e vendere sul web i propri prodotti e servizi è diventata un’esigenza.
  3. Chi risponde a questo richiamo diviene fornitore di Amazon. E Amazon diviene il tramite per le sue vendite online. In tempi brevi, potrebbe convincersi di avere scelto una giusta strada per vendere sul web, perché nonostante un impegno economico piuttosto gravoso (alte percentuali sulle vendite + costi di marketing) qualche ordine in effetti esce fuori.
  4. Dopo le prime vendite, Amazon comincia ad imporre il suo prezzo di mercato. Privilegia i brand concorrenti a minor prezzo e quelli che investono di più nel marketing. Gli ordini restano ma si riduce fortemente la marginalità e il valore del brand. Nel contempo, aumenta la richiesta di ulteriori investimenti sul marketing.
  5. Se il prodotto vende particolarmente bene, Amazon perde la sua funzione di vetrina e impone di diventare lui stesso il distributore. Spesso impone il suo marchio Prime. Così il brand del fornitore viene definitivamente distrutto. Viene inghiottito nel nulla.
  6. Questa è la fase più delicata, perché sebbene Amazon, a questo punto, acquisti discrete quantità del prodotto in questione, lo fa a bassissimo prezzo per garantirsi il miglior guadagno. È lui che comanda ed è lui che impone le leggi del mercato.
  7. Vendendo direttamente il prodotto, Amazon si impadronisce anche della lista clienti, che non viene resa nota al fornitore, il cui unico cliente adesso è Amazon e nessun altro.
  8. Se sono in atto castelletti bancari, normalmente, di fronte ad un’azienda mono-cliente anche le banche si sentono a rischio e chiedono l’immediato rientro. È già accaduto e ha provocato danni enormi.
  9. L’ultima fase è quella in cui Amazon decide di fare produrre la stessa tipologia di prodotto ad altri fornitori, che gli costano meno (magari in Asia), cosicché il fornitore originale rimane a zero vendite e senza la lista clienti. Di fatto, colui che tanto affidamento aveva fatto sulle vendite online tramite Amazon si preclude ogni altra possibilità di vendere sul web. Il tracollo può avvenire tutto d’un colpo, senza preavviso. Anche questo è accaduto diverse volte. Abbiamo testimonianze e presto le pubblicheremo.

Nel giro di un paio d’anni, anche meno, il disastro è compiuto. E Amazon si è tutelata rispetto alla concorrenza dei fornitori più piccoli, che scompaiono nella sua enorme pancia.

Dunque, come difendersi da una posizione che appare quanto mai dominante?

Il presupposto è sempre lo stesso: oggi è diventato indispensabile seguire le abitudini del consumatore e la sua tendenza ad acquistare online. Questo sia che il cliente finale sia un privato (B2C) o un’azienda / professionista (B2B).

Dunque la necessità è quella di essere presente online con i propri prodotti o servizi in vendita mediante un ecommerce.

Essere proprietario di un ecommerce significa fare degli investimenti, piccoli o grandi che siano. Serve pagare una indispensabile consulenza,  poi qualcuno abile a costruire un negozio di successo, poi qualcuno che lo tenga aggiornato (catalogo e promozioni). E infine serve fare marketing e monitorare i risultati per migliorare le performance.

La domanda che si impone è se convenga spendere questo denaro a favore di un ecommerce che sia di proprietà di altri (ad esempio di Jeff Bezos, che quando vuole può rendere vani tutti i tuoi sforzi economici, cancellandoti dal web), oppure se conviene investire su qualcosa di proprio, che rimane e cresce nel tempo.

La risposta mi sembra ovvia. Serve un ecommerce di proprietà, ove il denaro speso sia produttivo di ordini, di nuovi clienti fidelizzabili, di valorizzazione del brand e di sicurezza per il futuro.

I conti di Amazon fanno comprendere quanto sia ricco il mercato delle vendite online. Ora bisogna decidere se continuare ad arricchire un solo ecommerce al mondo, oppure se ritagliare una fetta del mercato per produrre nuovi utili, spesso importanti, e tenerli nelle casse di imprenditori e professionisti italiani.

Mi sembra che non possano esistere dubbi.

Tuttavia possiamo continuare a parlarne, anche in privato. Sia che tu abbia già un ecommerce, sia che ne voglia costruire uno del tutto nuovo.

"Quanti tuoi clienti comprano online?"

Questa la domanda a cui molte aziende devono dare risposta.

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