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Amazon svantaggi: così mangia i clienti delle imprese italiane

Ecco riassunte in sei punti principali tutte le più concrete motivazioni per cui un’azienda dovrebbe vendere online con un proprio e-commerce e non asservendosi al marketplace americano

Che Amazon stia perdendo i colpi lo abbiamo già evidenziato diverse volte sul nostro Magazine. Crescono i licenziamenti, il titolo in borsa subisce forti perdite mentre salgono le vendite, il valore e il numero dei singoli e-commerce di proprietà. Grandi brand quali Nike, Birkenstock, Vans, Ralph Lauren, Louis Vuitton, Patagonia, North Face sono stati tra i primi a fuggire dal colosso americano. Tuttavia esiste ancora una larga fascia di imprese, anche in Italia, che non conosce altro sbocco per il mercato online, se non investire nel marketplace. Così si finisce per gettare risorse in pubblicità e per perdere soldi in provvigioni, valorizzando gli interessi di un soggetto terzo e deprimendo il proprio brand. Ma soprattutto cedendo ad altri la propria clientela. Ecco qui di seguito i peggiori svantaggi imprenditoriali di questa strategia di vendita poco condivisibile.

Dalla parte del consumatore

È bene fare subito una premessa. Amazon guadagna due volte. Una volta guadagna sulla vendita dei prodotti che mette a catalogo. Una seconda volta guadagna sugli investimenti messi in atto dalla imprese, che affidano al marketplace le loro vendite online.

Quindi, se nel commercio vale la regola che, per un’impresa, il fornitore rappresenta un costo, mentre i ricavi provengono dai clienti, Amazon è riuscita con grande perizia a sovvertire questa atavica legge.

Difatti, il marketplace guadagna sia dai clienti che dai fornitori. Cioè guadagna sia da chi compra che da chi vende. Jeff Bezos è stato geniale!

Tuttavia, sebbene il consumatore finale e le aziende venditrici siano fonte inesauribile di guadagni per Amazon, il colosso americano fa una grande distinzione tra venditori e acquirenti.

I primi sono sempre sostituibili e, per questo motivo, il rapporto contrattuale che li lega può includere norme e postille che rasentano (se non invadono) l’area di azioni da corda al collo (capestro).

I secondi, invece, sono racchiusi nel senso più lato di “mercato”, senza il quale nessun progetto di vendita avrebbe un presente e un futuro. Quindi sono indispensabili.

Per questo motivo Amazon tutela sempre chi acquista, molto spesso a scapito di chi vende. Così facendo tutela il suo mercato, imponendo le proprie leggi a chi si è consacrato ad una servitù volontaria.

Si tratta di un rapporto di dipendenza commerciale per la quale (ancora una volta Bezos è stato geniale) il dipendente paga invece di essere pagato. Peggio di così non ci si può immolare.

Sei punti a sfavore delle imprese

Sfogliando il Magazine di evoluzionecommerce, soprattutto cliccando sul tasto NO AMAZON, è facile trovare tutti i principali punti di attacco al marketplace americano.

Tra questi scoviamo anche il sistema di contraffazioni mai risolto, oppure il reclamo su consegne mai avvenute, oppure pacchi che giungono vuoti, oppure i suoi rapporti con la Giustizia Europea, oppure quelli con il fisco italiano, oppure la lentezza nei pagamenti, le alte provvigioni, il costo del marketing, l’inaffidabilità dell’account e molto altro.

Una bella sfilza di inconvenienti.

Tuttavia, ci sono sei motivi principali per i quali ogni imprenditore dovrebbe scegliere di vendere online con un proprio e-commerce, piuttosto che affidare il proprio catalogo ad Amazon. Eccoli:

  1. schede prodotto impersonali;
  2. l’eccessiva estensione del pubblico;
  3. l’imposizione della logistica;
  4. l’elevata concorrenza;
  5. il rapporto con i clienti;
  6. i vincoli sul prezzo.

Vediamo di entrare nel dettaglio di ciascuno di questi singoli punti.

  1. Il problema delle schede-prodotto.

Amazon tende a razionalizzare a proprio vantaggio tutti i suoi processi, semplificandoli. Ogni prodotto esposto sul marketplace, ogni immagine, ogni descrizione deve passare al vaglio delle linee guida, oltre le quali è difficile spingersi. E, potendolo fare, i costi aumentano in modo esponenziale.

Non è difficile riscontrare quanto ho appena scritto. Basta collegarsi su Amazon, ricercare un prodotto e fare attenzione alla grafica di quanto ci viene proposto a video: tante caselle una di fianco all’altra. Potrebbero essere dello stesso produttore anche se non lo sono.

Non è un caso che sia così. In una marea informe di questo genere è molto difficile differenziarsi. L’unico strumento possibile è la quantità del budget messo a disposizione del marketing su Amazon stessa, per essere maggiormente e più lungamente visibili.

2. Il problema di un pubblico vasto.

Comprendo bene che di primo acchito sia difficile digerire un concetto come quello che sto per trattare. Difatti, nelle linee generali si potrebbe pensare che, tanto maggiore è il numero di persone interessato a comprare un prodotto online, tanto maggiori sono anche le possibilità di concludere una vendita.

Tuttavia le logiche del web non sono le stesse che si adottano sul mercato tradizionale.

Internet arriva dappertutto e, come le ultime statistiche ci mostrano, l’88% della popolazione italiana acquista online almeno una volta all’anno. Sono invece 19,5 milioni i nostri connazionali che acquistano abitualmente dagli e-commerce.

Il pubblico è molto vasto e facilmente raggiungibile, ma per conquistarlo tutto servono grandi capitali per imporsi alla sua attenzione. Pochi capitali vanno inutilmente dispersi. Sono una goccia nello stagno.

Non è un caso che i grandi brand continuano ad utilizzare il mezzo radiofonico e televisivo (così come le grandi testate giornalistiche cartacee) per promuovere i propri prodotti. È un marketing che punta ad affermare il marchio o il singolo prodotto, ma non ad una vendita diretta.

Il mondo degli e-commerce, invece, deve ragionare più sul contatto uno-a-uno con l’acquirente. Il cliente finale, sia esso un consumatore o un’azienda, lo si acquista e lo si conquista con un clic a pagamento.

Tanto maggiore è il pubblico di riferimento, dunque, tanto più denaro serve per trasformarlo da cliente potenziale a cliente spendente.

Va da sé che, soprattutto per le PMI che non possono disporre di budget immensi, è necessario delineare con la massima precisione la nicchia di pubblico alla quale rivolgersi.

Al contrario, Amazon non ama questo genere di profilazione della clientela, in quanto al gruppo americano non interessa quanto guadagna il venditore, ma solo che spenda e raggiunga il maggior numero di clienti possibile. Anche se dovesse andare in perdita e fallire.

Tanto, ogni venditore spremuto come un limone, una volta che non c’è più succo, può essere sostituito con altri limoni del tutto identici e profittevoli.

3. I costi della logistica.

Uno dei punti più attraenti di Amazon è quello relativo alla comodità delle imprese, che non amano attrezzarsi per sviluppare la propria attività anche su Internet.

Per questo si rivolgono ad un ente terzo, Amazon appunto, che però non è certamente un ente di beneficenza. Come detto, in cambio si fa pagare profumatamente e impone le proprie regole.

Dopo essersi attrezzato come piattaforma di vendita, il colosso americano ha pian piano invaso anche tutti gli altri campi che si connettono con il commercio digitale. Uno di questi è quello attinente la logistica.

Molte aziende, per propria comodità, affidano i propri prodotti allo stoccaggio organizzato da Amazon, in uno dei tanti magazzini ormai di proprietà di Bezos. Molto spesso più di uno, per essere più presenti sul territorio.

Di fatto, ci si affida alla sua logistica per tutto l’iter che va da un acquisto ad una consegna.

Se da una parte questo servizio è molto comodo, dall’altra è molto costoso e soprattutto è poco personalizzabile. Non si può neppure controllare ciò che Amazon inserisce nelle varie confezioni, comprese campionature di altri prodotti, depliant o buoni sconto.

Ancora una volta, qualora queste cose succedano, l’impresa venditrice si trova a dovere pagare un servizio per favorire anche imprese terze.

4. Il problema della concorrenza.

Ogni genere di prodotto, che abbia un senso per stare sul mercato, è soggetto a doversi confrontare con una concorrenza agguerrita e spesso molto ampia.

Il problema della concorrenza, in qualsiasi caso, va sempre affrontato con opportune strategie di vendita, necessarie per controbatterla e vincerla. Non necessariamente spendendo più degli altri.

Tuttavia, la concorrenza su Amazon è molto più aggressiva che non tra e-commerce ed e-commerce. Peraltro risponde a logiche inaccettabili e, ancora una volta, negative per ogni impresa: i prodotti appaiono tutti uno affianco all’altro, sponsorizzati e non.

Sarà poi chi acquista a scegliere tra i tanti articoli che gli vengono mostrati a video.

In sostanza, su Amazon, le imprese venditrici spendono per essere maggiormente visibili, ma finiscono anche per mostrare alla clientela potenziale i prodotti della concorrenza.

Amazon, vale la pena ripeterlo, ha come unico scopo quello di vendere il più possibile. Se un prodotto è molto richiesto, lo può vendere qualsiasi suo partner commerciale. Più ce ne sono e meglio è, ma in questo modo si frazionano i guadagni all’infinito.

Dunque, Amazon non ha assolutamente a cuore gli interessi di chi vende e, tanto meno, è disponibile ad un Entente Cordiale con i propri partner.

Inutile commentare o ribellarsi. Se lo fai, il rischio è che Amazon ti chiuda l’account, spesso congelando anche i pagamenti che ancora deve girare al venditore. Quindi tutti zitti e mosca, come si dice.

5. Il problema del rapporto venditore-cliente.

Questo è il punto di svantaggio più grave di tutti, su cui ogni imprenditore dovrebbe fare una lunga riflessione.

Chi acquista su Amazon, compra da Amazon. Il venditore non viene considerato, ma soprattutto non può intrattenere con il cliente rapporti che lo possano indurre ad un acquisto diretto, piuttosto che per il tramite del marketplace.

Spesso, anzi molto spesso, chi vende non conosce neppure l’identità del cliente, che rimane blindato nelle liste di Amazon.

In ogni caso è proibito al venditore di inserire, nei pacchi di consegna, elementi propagandistici che reclamizzino il proprio brand o altri tipi di prodotti delle sue linee commerciali.

Se Amazon scopre un’attività di questo genere, chiude immediatamente l’account e trattiene le somme ancora dovute. È successo a molti e il web è ricco di testimonianze di questo tipo.

Come detto, questo è il punto di maggior svantaggio, perché la lista-clienti è certamente il patrimonio di maggior valore nell’ambito di qualsiasi attività aziendale.

Vendendo su Amazon, il cliente resta ad Amazon.

Per questo, qualora il marketplace (per qualsiasi motivo e senza offrire spiegazioni) decida di chiudere l’account del venditore o di non presentare più i suoi prodotti, l’impresa torna immediatamente ad ordini pari allo zero, perdendo anche il valore di tutti gli investimenti prodotti nel marketing.

Abbiamo visto imprese fallire per questo amaro giochino, quindi sconsigliamo a chiunque di addentrarsi in rischi del genere.

6. Il problema del prezzo.

Ciò che ciascuna impresa dovrebbe fare, quando decide di addentrarsi nel mercato digitale, è quello di ottimizzare i propri investimenti nel marketing.

Internet è lo strumento che contiene il maggior numero di precise informazioni utili alle vendite. Fra queste anche giorni e orari in cui il pubblico di riferimento è più solito acquistare.

Amazon lo sa bene e i suoi algoritmi sono in grado di decidere quando mostrare un prodotto piuttosto che un altro, ma anche quando variare il prezzo di vendita, più volte al giorno, a seconda del numero di ricerche online in tempo reale.

Lo decide autonomamente, senza darne riscontro o farne richiesta alle aziende venditrici. Lo stesso accade quando decide di mettere in atto sconti e promozioni, come nel caso del Black Monday. Una invenzione tutta “amazoniana”.

Spesso non viene concordato con i venditori neppure un range di sconto entro il quale Amazon è abilitato a muoversi. Fa quello che vuole e tutto gli viene concesso.

Ovviamente nei limiti della Legge del nostro Paese. Amazon non fa nulla di illegale. Tutto è regolarizzato da un contratto con il venditore, ma tutto è nel suo prevalente interesse.

Maggiori spese e meno clienti

Tutto quanto abbiamo appena descritto va in un’unica direzione che vorrei sintetizzare in questo modo: chi vende su Amazon può essere considerato a metà strada tra una slot machine, presente nella grande sala giochi di casa-Bezos, e un mulo da soma.

Le aziende devono rendere, rendere, rendere, indipendentemente da quanto spendono e da quanto realmente guadagnano. Gli imprenditori devono sudare le proverbiali sette camicie per controbattere la concorrenza e per accettare le sconvenienti logiche del colosso americano.

Di fronte ad un percorso di vendita online, impostato su Amazon, il destino inevitabile è quello di spendere molto più denaro di quanto servirebbe per investire su un proprio e-commerce: Amazon chiede, pretende e non gli basta mai!

Per evitare questo spreco, spesso, basterebbe farsi quattro conti e ci si accorgerebbe che costruire e gestire un proprio negozio online è davvero meno costoso e più sicuro, nel presente e nel tempo, che non affidarsi ad Amazon.

Per di più ogni investimento prodotto sarebbe mirato a valorizzare le propria attività e il proprio brand, che non quello del signor Jeff Bezos e dei suoi viaggi spaziali, riservati allo sfizio di una decina di miliardari.

Quello che il marketplace richiede in termini di provvigione, potrebbe essere utilizzato con maggior profitto e lungimiranza in un’attività online propria.

Quindi Amazon rappresenta un peggiore utilizzo della spesa e un minor guadagno.

Ma, vale ribadirlo, ciò che veramente bisogna considerare del tutto inaccettabile è che, con i soldi delle imprese, i rischi di imprenditori, artigiani, liberi professionisti e le loro fatiche, Amazon vada alla conquista di una clientela che considera sua e trattiene per sé, sottraendola a chi ne avrebbe tutto il diritto e, per di più, orientandola indiscriminatamente verso attività in diretta concorrenza.

"Quanti tuoi clienti comprano online?"

Questa la domanda a cui molte aziende devono dare risposta.

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2 risposte a “Amazon svantaggi: così mangia i clienti delle imprese italiane”

  1. MARCO BESANA ha detto:

    SONO COMPLETAMENTE D’ACCORDO, DIFATTI NON HO MAI COMPERATO SU AMAZON.

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