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Amazon Business – Il Governo arma l’attacco alle PMI italiane

Nella “pillola” n. 24 di evoluzionecommerce avevo ampiamente descritto cos’è Amazon Business e perché ritengo che questo canale di vendita rappresenti una minaccia per le imprese italiane. Mai più avrei immaginato che questo attacco venisse favorito dal Governo Italiano che, invece di difenderci, vorrebbe spingerci dritti dritti nelle fauci della balena. Sia bene inteso, io […]

Nella “pillola” n. 24 di evoluzionecommerce avevo ampiamente descritto cos’è Amazon Business e perché ritengo che questo canale di vendita rappresenti una minaccia per le imprese italiane.

Mai più avrei immaginato che questo attacco venisse favorito dal Governo Italiano che, invece di difenderci, vorrebbe spingerci dritti dritti nelle fauci della balena.

Sia bene inteso, io non credo che si tratti di malafede. Almeno non di tutti. Certo è che mi stupisco della superficialità nella quale vengono abbandonati i piccoli e medi imprenditori che tengono in piedi questo Paese.

Devo essere molto chiaro su questo punto. Amazon non sta facendo nulla di scorretto. I contratti che fa firmare agli imprenditori vengono pienamente rispettati. Forse andrebbero letti con maggiore senso critico.

Peraltro Amazon sa fare molto bene il suo lavoro, lo fa nel rispetto delle leggi ma anche di una sua politica di sviluppo aziendale che, a mio parere, contrasta (anzi è in concorrenza) con gli interessi delle nostre imprese. Più che legittimo.

Vediamo cosa è successo il 7 maggio scorso tra l’ICE e Amazon.

A beneficio di tutti, ricordo brevemente cos’è l’ICE. Si tratta di un Istituto di Diritto Pubblico (ex Istituto per il Commercio Estero), il cui operato è sotto la diretta sorveglianza del MISE (Ministero per lo Sviluppo Economico).

Il compito dell’ICE, in brevi termini, è quello di promuovere l’attività delle aziende italiane all’estero e gli investimenti dall’estero verso l’Italia.

Conosco bene l’ICE perché con loro ho girato il mondo, dal Giappone al Brasile, nel contesto di diverse iniziative più che lodevoli, nonostante un’organizzazione capillare piuttosto limitata in appoggio ai relativi corpi diplomatici.

Questa volta, tuttavia, l’iniziativa dell’ICE (quella del 7 maggio scorso) mi sembra un clamoroso autogol nella partita giocata dalle PMI italiane. Principale beneficiario: Amazon Business.

Torno subito a ciò che è accaduto e che mi fa crescere la pelle d’oca.

L’ICE ha stipulato un accordo con Amazon, che io configuro come la balena divora-imprese, per le vendite all’estero del Made in Italy prodotto dai piccoli artigiani, dalle piccole e medio imprese del nostro Paese.

Il ragionamento che fa l’ICE è che la digitalizzazione delle piccole imprese italiane va molto a rilento rispetto alle esigenze del mercato.

In un recente rapporto si dice che 9 italiani su 10 nel 2018 hanno acquistato almeno una volta online e che il 50% degli intervistati dichiara di avere fatto un’esperienza così positiva, da volerla ripetere con più frequenza nel 2019.

I vantaggi di aprire un ecommerce, oggi, sono tanti.

Non è un caso che Amazon abbia aperto il suo canale business, dedicato alle imprese che vogliono vendere online. Un canale che ritengo molto costoso e denso di pericoli per l’esistenza stessa delle aziende. Ne ho già parlato in altri articoli di evoluzionecommerce.

Dunque, secondo l’ICE, va identificato uno strumento che possa accelerare la propagazione online dei prodotti italiani all’estero. Questo strumento si chiama “balena” Amazon.

L’accordo che è stato stipulato tra l’ICE e Amazon è molto chiaro. Jeff Bezos mette a disposizione di 600 micro e piccole imprese italiane la propria piattaforma ecommerce di Seattle.

Se fa così in tutti i Paesi del mondo, mi sembra evidente che lo scopo sia quello di diventare il principale motore di crescita dell’export globale, al cui volere tutti si devono inchinare.

Seicento “Pinocchi”, anch’essi in buona fede e ignari del destino che li attende, quello di finire nella pancia della balena in compagnia di Mastro Geppetto, che vorrei identificare nel “genio” creativo di questo accordo.

Vorrei dire molto chiaramente che l’interesse di Amazon non è quello di favorire la digitalizzazione delle imprese italiane. Dei nostri imprenditori non gli interessa proprio nulla.

L’interesse di Amazon è sollecitato da un dato molto preciso: l’export del Made in Italy cresce ogni anno da un minimo del 1,5% (Polonia – Repubblica Ceca) a un massimo del 19% (Stati Uniti) ed ha raggiunto un valore di circa 500 miliardi di Euro all’anno.

Una buona parte della crescita è online. Un bel boccone per la balena.

Ovviamente si pone sotto una forma di piena collaborazione. Pensate che per questo aspiratore delle aziende italiane sulla piattaforma di Bezos, Amazon mette a disposizione delle imprese una squadra di “esperti” della vendita.

Parolona grossa, ma il braccio di Amazon sono anche quelle piccole web agency che hanno stretto con lui accordi di partenariato e che quindi sono interessate a emettere altre fatture alle imprese per la gestione dei cataloghi.

Macroscopicamente Amazon mette una mano “amica” sulla spalla degli imprenditori e gli spiega quali sono i metodi e le funzioni per entrare nel Paese delle Meraviglie.

La richiesta dei prodotti italiani online cresce a vista d’occhio. Per essere sincero non conosco la percentuale, ma sono a contatto ogni giorno con imprenditori che ci chiedono di aprire il loro ecommerce, proprio perché dall’estero richiedono i loro prodotti.

D’altronde l’Italia è un Paese ad alta incidenza turistica e spesso chi acquista i nostri prodotti mentre si trova in viaggio, vuole continuare ad acquistarli anche quando ritorna a casa propria.

Amazon è molta attenta a queste evoluzioni del mercato e sa fare bene i propri interessi.

Questa volta però l’ICE non ha valutato bene che gli interessi di Amazon non coincidono con quelli dei nostri imprenditori.

Con il rischio di ripetermi, voglio ancora una volta fotografare il possibile percorso di un imprenditore che si affida ad Amazon.

  • Con l’aiuto di quei famosi “esperti” del tutto disinteressati, l’imprenditore collega il suo catalogo di prodotti alla piattaforma di Amazon.

Forse pensa che così sia facile vendere online e che, con il miraggio di incassare un sacco di soldi, non deve spendere nella realizzazione del proprio ecommerce e non deve fasciarsi la testa per seguirne la crescita e le vendite.

  • Dopo poche settimane il nostro imprenditore inizia ad avere qualche dubbio. Non solo il suo prodotto non si vende, ma neppure lo vede pubblicato su Amazon.
  • Gli “esperti” gli spiegano che senza pubblicità non si va da nessuna parte. Amazon porta avanti i prodotti di quegli imprenditori che investono nei canali promozionali messi a disposizione da Amazon stessa.
  • Vabbè, mi costa un bel po’ ma almeno adesso il mio prodotto si vede. Però è strano, il prezzo non è sempre lo stesso.
  • Rientrano in gioco gli “esperti” che informano il buon imprenditore, che è in perfetta buona fede perché il suo mestiere non è quello di conoscere il mondo delle vendite online, che Amazon il prezzo di vendita può cambiare in ogni minuto del giorno a seconda delle esigenze di mercato.
  • Caspita. L’imprenditore comincia ad accorgersi che questo sistema erode buona parte delle sue marginalità. Ma non fa niente, perché finalmente qualcosina si vende.
  • Intanto arriva fine mese e, con essa, l’agognato estratto conto. Il nostro imprenditore non crede ai suoi occhi. Tra pubblicità, provvigioni ed altro se n’è andata una buona fetta di quanto pensava che avrebbe incassato.

Caspita è un’esclamazione che non basta più. Qui ci vuole un bel Accidenti! E purtroppo non è finita.

  • Alcuni clienti hanno rimandato indietro il prodotto. Sono costi e perdite secche. Il nostro imprenditore si rende conto che Amazon tutela al 100% il consumatore. Lui, che è il fornitore, si assume tutti i rischi e non può battere ciglio.

Se lo fa, sa che c’è una clausola del contratto che lo avverte che Amazon, a suo insindacabile giudizio, gli può chiudere perennemente l’account e cancellarlo dal suo database. Un bel rischio per chi affida il suo commercio online a Amazon.

Tanta amarezza, ma in fondo qualche soldo in cassa è entrato. Chissà mai che in un domani si possa guadagnare un po’ di più.

Pazienza se il brand è svilito dalla battaglia sul prezzo. Pazienza se chi ha acquistato non sa neppure chi sia lui, l’imprenditore, che tanto amore e fatica ha messo nella sua impresa.

Il consumatore finale riconosce come fornitore solo Amazon. Se gli chiedi dove ha comprato, lui ti risponde: da Amazon. Tutta la fatica del nostro imprenditore nello svolgere al meglio il suo lavoro, nel pagare la pubblicità, nel riconoscere le provvigioni sono andate tutte a vantaggio di un brand chiamato Amazon.

Ancora una volta, tuttavia, la storia non è finita. Purtroppo. Come detto, qualche vendita va a buon fine e la speranza di una favorevole evoluzione è l’ultima a morire.

Tanti soldi spesi: qualcosa rientrerà!

Un evento assolutamente inatteso, però, sta in agguato dietro la porta. Improvvisamente il catalogo del nostro imprenditore potrebbe non vedersi più e le vendite, che con tanta fatica e tante energie stavano cominciando a salire, crollare improvvisamente a zero.

Cosa potrebbe essere accaduto?

Le ipotesi sono due. Qualche altro fornitore si è reso più interessante nei confronti di Amazon. Meglio dire che ha trovato il modo di farlo guadagnare di più con la stessa tipologia di prodotto.

Oppure Amazon ha deciso di porre il suo marchio su un articolo simile, facendolo però produrre a chi gli costa meno. Il nostro imprenditore è stato per lui una fase di passaggio.

Il marchio Amazon oggi è perfino sulla pasta asciutta.

Dunque, se tutto questo succede in Italia, non oso pensare cosa possa accadere a quelle 600 micro e piccole imprese che, abbagliate da chissà quali miraggi di successo oltre i confini, investiranno fior di quattrini su Amazon per invadere altri mercati.

Da sempre scrivo che a mio parere la politica di Jeff Bezos, e il suo sogno non troppo recondito, è quello di diventare l’unico grande negozio al mondo.

La nascita di ecommerce privati che vendono dall’Italia verso l’estero non gli piace. E, visto che gli imprenditori italiani stanno ancora troppo alla finestra in attesa di prendere le loro decisioni verso il mercato online, accelera lui i tempi e spalanca la bocca della balena.

L’accordo con l’ICE non gli sarà sembrato vero. Ma gli imprenditori italiani hanno intelligenza e risorse che lui forse non si attende. Ne sono pienamente convinto.

Come accade nel celebre romanzo di Collodi, il finale sarà a lieto fine.

"Quanti tuoi clienti comprano online?"

Questa la domanda a cui molte aziende devono dare risposta.

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