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A scuola di Amazon per vendere online. No, grazie!

Il colosso di Jeff Bezos vorrebbe insegnare come si vende online a 10.000 imprese italiane. Non è certo una mossa per supportare le aziende in difficoltà, ma per veicolarle sulla sua piattaforma. Ecco quali sono i gravi pericoli che si celano dietro questa iniziativa.

In un recente spaccio di agenzia, l’ANSA ha comunicato che con il compiacimento del Governo italiano Amazon ha avviato il progetto di una scuola per le piccole imprese italiane. Amazon vuole insegnare ai nostri imprenditori a vendere. Dove? Su Amazon, naturalmente.

In questo post che stai per leggere, spero di dimostrarti come e perché è bene che gli imprenditori italiani stiano alla larga da Amazon e dalle sue graziose attenzioni

Ogni azienda deve avere il suo ecommerce proprietario senza essere prono alla corte di chicchessia e per potere accedere alle necessarie personalizzazioni di vendita

Alla fine di questo articolo potrai lasciare anche un tuo commento o descrivere una tua esperienza, oppure metterti in contatto direttamente con me per ulteriori ragionamenti su questo tema.

Partiamo dunque da un presupposto, cioè dalle dichiarazioni di Jeff Bezos (l’uomo che è diventato il più ricco del pianeta grazie ad Amazon) il quale già da diversi anni ha reso noto il suo obiettivo: fare di Amazon l’unico negozio al mondo.

Questo intendimento, a mio modo di vedere, ha un solo significato: eliminare tutta la concorrenza, quindi tutti gli altri ecommerce, diventando lui padrone e signore di tutte le transazioni online.

Scavando ancor più nel suo pensiero, le affermazioni di Bezos esprimono la volontà di togliere ogni libertà imprenditoriale ai singoli produttori, imponendo le sue regole commerciali, costruite unicamente per i suoi interessi.

C’è qualcosa di male o di illegale in tutto questo? Certamente no. Amazon fa il suo mestiere e investe un sacco di soldi per raggiungere i suoi obiettivi. Negli ultimi 10 anni, in Italia, ha investito ben 5,8 miliardi di dollari.

Secondo te, che mi stai leggendo, si tratta di un investimento così poderoso per venire in aiuto alle aziende italiane? Io ne dubito fortemente.

Quindi, non ho difficoltà a pensare che la scuola di Amazon non sia uno strumento di solidarietà verso le imprese italiane in difficoltà, ma uno dei passaggi che Bezos mette in atto per completare il suo progetto di dominio sul mercato.

E vediamo che cosa intende insegnare questa scuola. Secondo il comunicato dell’ANSA (Agenzia Nazionale Stampa Associata) i corsi di Amazon sono riservati a 10.000 imprese italiane e intenderebbero colmare una insufficienza culturale nel settore delle vendite online.

In sostanza significa che, secondo Amazon, gli imprenditori italiani sono ancora molto distanti dall’essere consapevoli delle potenzialità del commercio elettronico. 

Difatti, se la media europea delle vendite online è pari al 60% della popolazione, in Italia questo dato si abbassa al 38%. C’è molto spazio di crescita e in questo spazio, chi prima arriva meglio alloggia (come si suol dire). 

Ecco perché Amazon è così interessata. È interessata a parlare di vendite online alle imprese per indirizzarle sulla sua piattaforma.

Tuttavia, se da una parte Amazon fa bene ad inventarsi strumenti nuovi e accattivanti per appropriarsi la fiducia delle imprese, dall’altra parte voglio esprimere una chiara espressione di condanna per le nostri istituzioni e per le associazioni di categoria che plaudono a questa iniziativa, così poco consigliabile per le nostre attività commerciali.

Non è così che si difendono gli interessi del nostro Paese e degli imprenditori che versano sudore ogni giorno, per portare dignitosamente al successo i prodotti e i servizi nostrani.

Ho già scritto diverse pagine su questo blog, in relazione alla presenza di Amazon nel mercato online e al pericolo di affidare a Jeff Bezos gli interessi commerciali delle aziende italiane.

Voglio qui ribadire alcuni punti fondamentali.  Alla base delle vendite di un’azienda ci sono due elementi essenziali:

  • la lista dei clienti
  • il brand

In entrambi i casi, a mio parere, la scelta di affidare ad Amazon il destino commerciale di una PMI, di un’azienda artigianale, di un negozio o di uno studio professionale è perdente

Parliamo della lista dei clienti: la maggior parte delle volte il fornitore di Amazon, quindi tu, non conosce chi è l’acquirente. E, nei casi in cui la conoscenza di questo dato sia concessa, i contratti stipulati non consentono di vendere a quei clienti in modo diretto. Il cliente è di Amazon, non tuo.

Lo stesso dicasi per la valorizzazione del brand. Anche se il prodotto o il servizio acquistato è il tuo, l’acquirente compra da Amazon, non da te. Se gli chiedi dove ha comprato quello che tu hai prodotto, lui ti risponderà semplicemente: “da Amazon”. Non da te.

Di fatto, tu hai speso soldi per acquisire un cliente e regalarlo ad Amazon.

Quanto alla convenienza economica di essere presenti su Amazon, anche qui ci sono considerazioni inoppugnabili:

  • Amazon non è gratuita
  • Amazon privilegia il prezzo
  • Amazon privilegia chi acquista e non chi vende

Cerchiamo di entrare meglio in questi tre concetti appena espressi.

Amazon non è gratuita, per due motivi principali. Perché richiede alte provvigioni sulle vendite e perché, se vuoi vendere, ti devi impegnare nel marketing entro gli stessi canali pubblicitari di Amazon. Alle condizioni economiche di Amazon.

Più volte abbiamo visto imprenditori concorrenti darsi battaglia a colpi di budget pubblicitari crescenti, per essere premiati da Amazon in termini di visibilità.

Una battaglia che si fa ancora più dura quando si parla di prezzi laddove Amazon, a parità di prodotto, privilegia quello che costa meno. Se vuoi vendere, quindi, devi ridurre le tue marginalità. A volte vai persino in perdita.

Infine, per chiudere il trittico che ho appena enunciato, Amazon privilegia il suo cliente, non il suo fornitore. Di fornitori ce ne sono a iosa (e la scuola vuole accaparrarsene altri), mentre è l’acquirente colui che riempie il cassetto di Amazon.

Spesso chi acquista ha tempo fino a un mese per restituire la merce, senza il bisogno di alcuna giustificazione. Tu che ne sei il fornitore e credi di avere venduto, in realtà ti accorgi di non avere venduto un bel niente. 

Non so se queste cose alla scuola di Amazon verranno insegnate. Ma procediamo.

Ho parlato di pericoli e voglio ancora una volta ribadire che Amazon fa solo il suo mestiere, senza alcuna malignità. Tuttavia, nel fare il suo mestiere, i suoi interessi non coincidono con quelli degli imprenditori italiani.

Innanzi tutto Amazon vuole vendere il maggior numero di prodotti possibile, ovviamente, e non ha interesse a spingere un fornitore, piuttosto che un altro. A parità di guadagno pubblicitario, mette tutti sullo stesso piano.

Accade così che se qualcuno ricerca il tuo prodotto su Amazon, insieme a quello che tu vendi vedrà apparire tutta una serie di prodotti simili al tuo, ma messi in vendita dai tuoi concorrenti.

Eppure tu hai pagato per essere visibile. Alla fine ti accorgi che hai pagato per rendere visibili anche i tuoi concorrenti.

In questo caso, il pericolo che corri è di avere speso soldi per fare vendere il prodotto di altri e non il tuo. Non mi sembra una bella mossa.

Un altro grave pericolo è dato dal fatto che nei contratti che firmi con Amazon esistono clausole per le quali tu potresti vedere chiuso improvvisamente il tuo account, senza per questo ricevere alcuna spiegazione.

Questa pratica è stata vissuta, purtroppo, da tanti fornitori che dalla sera alla mattina si sono trovati a zero ordini, pur dopo avere investito parecchio denaro per essere presenti su Amazon.

Zero ordini e senza lista clienti ha un solo significato: il fallimento. Sia nel b2c che nel b2b.

Ecco, io non so che cosa insegneranno alla scuola di Amazon. Certo le fondamenta sulle quali si basa una scuola di questo tipo generano molti dubbi. Ed io ho voluto essere molto chiaro nel presentarteli.

Ovviamente ognuno è libero di scegliere il proprio futuro.

"Quanti tuoi clienti comprano online?"

Questa la domanda a cui molte aziende devono dare risposta.

Scopri di più sul "Focus del mese"

2 risposte a “A scuola di Amazon per vendere online. No, grazie!”

  1. Marco ha detto:

    Sono d’accordo su tutta la linea. Comprendo la disperazione di chi non riesce a far decollare il proprio sito, chi si sente sopraffatto dalla sfida e non sa nemmeno da che parte iniziare per dotarsi di un e-commerce competitivo o quantomeno “dignitosamente” produttivo. La cosa che proprio non mi torna è l’avallo dato dalle istituzioni a una operazione di reclutamento di questo genere.
    Non sono in possesso di dati aggregati (non perchè non li abbia cercati ma perchè finora non sono mai riuscito a reperirli) ma sarei estremamente curioso di sapere se chi dispone dei bilanci, dei flussi finanziari, delle imposte versate, ecc. ha mai tirato le somme per capire se e quanto contribuisce un soggetto come Amazon al sistema Italia. Vorrei capire inoltre se il saldo tra posti di lavoro creati e quelli distrutti è positivo o negativo (oltre alla qualità del lavoro creato), quanti degli incentivi e sgravi fiscali per la digitalizzazione e la comunicazione/pubblicità vengono sprecati per mettere in competizione realtà contrapposte sulla stessa piattaforma, in un gioco al rialzo ma a somma zero (o meglio che avvantaggia solo chi la pubblicità la vende).
    Condivido anche l’analisi che vede il venditore in posizione di totale sudditanza. Dal mio punto di vista l’aspetto più inquietante è la naturalezza con cui tante aziende decidono di tuffarsi nell’anonimato di in quell’enorme calderone, barattando la propria specificità con il miraggio di veloci guadagni. Ci saranno sicuramente aziende che possono trarre vantaggio da quel modello di vendita ma credo si tratti essenzialmente di imprese appositamente costruite per sfruttare quel tipo di canale, con focus esclusivamente sul prezzo.
    E’ sicuramente lecito per le aziende sperimentare e tentare ogni via, dovrebbe però essere compito delle istituzioni fare qualcosina di più che demandare ad Amazon il compito di creare un modello di sviluppo per questo settore così strategico.
    Strutturalmente siamo già in forte ritardo rispetto ad altri paesi, se il piano per ridurre il gap è questo, direi che siamo messi veramente male…

    • Lorenzo ha detto:

      Marco, qualche dato in più lo posso aggiungere. Per quanto riguarda l’Italia Amazon nel 2018 ha versato tasse per 10,9 milioni di euro a fronte di un fatturato di un miliardo di euro (fonte Mediobanca). Risulta piuttosto difficile risalire agli utili netti suddivisi tra i vari Paesi. Questo è un problema di difficile soluzione, in quanto molti Stati e la stessa Europa si sono più volte azionati con risultati soltanto parziali. Tuttavia, l’articolo che tu hai commentato (e ti ringrazio per avere dato anche il tuo contributo) vuole attenzionare gli imprenditori italiani, nel tentativo di renderli ancora più consapevoli di cosa significhi vendere online e su quale via instradarsi per non rischiare di deprimere il loro brand e i loro guadagni.

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